giovedì 18 settembre 2008

Rileggiamo il venti settembre

L'Opinione, Edizione 191 del 12-09-2008

Rileggiamo il venti settembre
di Francesco Pullia

Il venti settembre non è una data qualsiasi e non può essere considerata una semplice ricorrenza. Segna, invece, un momento storico la cui portata travalica connotati nazionali e confinati ad una specifica contingenza per affermarsi come punto cruciale e di svolta non tanto, come ben si sa, nei rapporti tra Stato italiano e Chiesa cattolica quanto, invece, tra religiosità e religione. Contrariamente, infatti, a chi intende artatamente rimarcare e accentuare l’aspetto conflittuale, quasi di irrisolvibile dualismo, di insanabile opposizione cui alluderebbe la celebre breccia che pose fine ad undici secoli di dominio temporale da parte dei pontefici, riteniamo importante andare al di là delle interpretazioni scontate e valutare approfonditamente lo scenario completamente innovativo che da quella giornata così ricca di significati è venuto a configurarsi. Il venti settembre, in sostanza, va a nostro avviso riletto non come accezione di scarto, cesura, netta divisione e, quindi, scontro frontale tra laicismo e religione ma come un incentivo ad affrancare il sentimento religioso, e l’etica ad esso connessa, dalle grinfie di un deleterio assolutismo. Ecco perché in tempi come i nostri in cui torna ad aggirarsi il terribile, spaventoso, spettro del fondamentalismo, con il suo carico di foschi presagi e insanguinato presente, quella giornata va sottratta al passato e attualizzata come simbolo non tanto di tolleranza quanto di fecondo, costruttivo, ecumenismo dialogale, di ermeneutica scaturita dalla profondità dell’incontro e ascolto.

Sappiamo quanto sia difficile riuscire a veicolare questa posizione in un periodo in cui, purtroppo, prevale il parossismo intollerante, in cui l’intersecazione (che è ben altro della e dalla contaminazione) è diuturnamente minacciata dalla sopraffazione e dall’unilateralismo estremizzato. Proprio per questo è necessario avviare una seria riflessione, in modo da abbattere inutili muri e steccati. Va, in primo luogo, oltrepassato e finalmente risolto l’equivoco che vorrebbe il laicismo come irreligioso e antireligioso, così come, d’altra parte, deve essere superata l’insussistente concezione secondo cui la religiosità sarebbe completamente avulsa dalla sfera cosiddetta laica. Laicismo e religiosità diventano e sono sinomini non appena cessano di autorelegarsi entro gli stretti confini delle convinzioni apodittiche, irrefutabili e, quindi, del totalitarismo, vale a dire di un orizzonte esaustivo e onnicomprensivo, per destinarsi ad essere strumenti di orientamento relazionale e relativo. Cosa intendiamo dire? Semplicemente che laicismo e religiosità si negano e oppongono quando vicendevolmente mirano ad erodere e schiacciare la propria reciprocità mentre si fondono quando, partendo dagli interrogativi basilari, costitutivi della nostra finitudine, aprono sentieri, anche intentati, all’alterità. Di conseguenza, non può darsi divario tra laicismo e religiosità ma tra quest’ultima e religione codificata, istituzionalizzata, assolutizzata, privata cioè di quella tensione veritativa che è tipica del ricercare e, dunque, dell’anelito all’altro.

E’ implicito ed evidente che ciò vale anche nel caso in cui il laicismo pretenda di erigersi a religione, deprivando, per di più, il sacro, snaturandolo nell’enfasi secolaristica. Ciò che è mistero non può essere ridotto a mondano. E, allora, il venti settembre rappresenta la restituzione del sacro alla propria sacralità, la sua sottrazione alla mondanità, la riappropriazione, da parte di un sentire finalmente non più condizionato e sottoposto a coercizione confessionale, di quel totalmente altro (che nulla a che fare con il totalitarismo) di cui la nostra umana avventura è parte e partecipe. E’ religiosamente laico o, il che è uguale, laicamente religioso porre attenzione e conferire centralità, in un’accorta analisi, alla nascita, alla morte, alla dignità del vivere come a quella del trapassare, farlo senza preclusioni di sorta, esaltando, potenziando l’ascolto e, ancor di più, rendendo quest’ultimo parola, comprensione, compassione, compresenza. Se si dovesse efficacemente raffigurare ciò che il venti settembre, secondo quest’ottica propositiva, rappresenta dovremmo probabilmente pensare al tao, alla compenetrazione delle polarità dello yin e dello yang o anche alla scacchiera in cui il nero e il bianco non si escludono ma si amalgamano. In questo senso, il venti settembre va visto come un punto di svolta (e d’unione) in cui il sacro è riuscito ad evincersi dal proprio depauperamento temporale per tornare a muovere le coscienze. Per questo, la riflessione sulla data del venti settembre, che non per niente anticipa di un giorno l’equinozio autunnale, cioè l’istante in cui il sole viene a trovarsi esattamente sull’equatore, dovrebbe andare oltre gli angusti limiti nazionali e porsi come garanzia contro ogni insorgente integralismo, contro ogni fanatico estremismo.

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