domenica 21 settembre 2008

Il XX settembre sarà celebrato a Londra proprio mentre l’Italia “non conta più niente”

Il XX settembre sarà celebrato a Londra proprio mentre l’Italia “non conta più niente”

Europa del 19 settembre 2008, pag. 8

di Federico Orlando

Cara Europa, conservo a casa un libro di scuola media col famoso (per me) quadro di Cammarana che raffigura l’irruzione dei bersaglieri di Cadorna nella Breccia di Porta Pia scavata dai cannoni di Cialdini il 20 settembre 1870. Quel giorno, caduto Napoleone III che proteggeva il potere temporale, l’Italia potè completare la sua unità con Roma capitale. Poi fascismo e Dc cancellarono non solo Cammarata, ma anche la separazione fra stato e chiesa.
Ora la Lega cancella anche l’Italia.
Mi chiedo perché mai Pannella abbia deciso di ricordare a Londra, oggi o domani, questa data che in Italia nessuno ricorda. Maria Pia Gelmini, Roma


Risponde Federico Orlando: Cara Maria Pia (uso confidenzialmente il nome, lei mi capirà).
Preso dalle cronache, conosco poco delle ragioni per cui il mio vecchio amico Pannella e la senatrice Bonino abbiano deciso di celebrare il XX settembre in un club liberale di Londra o in una sede parlamentare di quel paese, fra le memorie anglo-italiane di Acton e Nathan. Dell’iniziativa radicale mi interessa non solo il dibattito su un avvenimento “europeo”, come lo ha definito lo storico Giuseppe Galasso a radio radicale, ma il momento particolare in cui si svolge. Proprio ieri mi ha colpito e avvilito una dichiarazione di Carlo De Benedetti, che mi ha reso esplicito un sospetto che stentavo a confessarmi: «Non contiamo più nulla. L’Italia è un paese che è stato cancellato dagli schermi radar del mondo. Con l’eccezione del nostro passato, se arrivasse uno tsunami e non ci fosse più l’Italia, nessuno se ne accorgerebbe. Recentemente sono stato negli Stati Uniti e per la prima volta da anni nessuno mi ha chiesto nulla di cosa accade nel nostro paese». Capito, Maria Pia? Con l’eccezione del nostro passato (anche se le stesse visite ai musei sono dimezzate nell’ultimo anno), non esistiamo più per il mondo: siamo tornati esattamente «l’Italia espressione geografica», quale eravamo considerati nel mondo prima del risorgimento liberale che unificò il paese, abolì gli staterelli padani e borbonici e il potere temporale dei papi e fece dell’“Italietta” un’ espressione di pensiero politico. È durato poco, lo so. Il fascismo, per lucrare il sostegno pontificio che prima del XX settembre aveva lucrato Napoleone III, si mise sotto la mantella del papa: cosa che non impedì né a Napoleone III di finire a Sedan né a Mussolini di finire a Salò. Poi venne la democrazia cristiana dove, come scriveva il mio vecchio direttore Spadolini, «morto De Gasperi, la sua eredità fu dispersa e dilapidata nella guerra fratricida di tutti contro tutti nella Dc» (Il Tevere più largo, Longanesi 1970). Quel fratricidio ci ha portato, via tangentopoli, all’Italia barzellettistica di Berlusconi e delle folle che lo applaudono, come a Napoli applaudono le marionetta di Pulcinella quando bastona un’altra marionetta. È l’angoscia di questo presente che mi fa attaccare alla ciambella che De Benedetti non nega ai naufraghi di un’Italia che poteva essere e non è stata, la ciambella del «nostro passato».
Porta Pia è, dopo la rivoluzione francese di ottanta anni prima, la pagina più importante della storia d’Europa.
Logico e forse utile che Pannella e Bonino vadano a ricordarla a Londra, nell’Europa che non soffre tsunami.

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