giovedì 3 gennaio 2008

Questo venti settembre

da radicali.it

Questo venti settembre

di Francesco Pullia

Oggi è il 20 settembre, non una data qualsiasi ma la ricorrenza di una giornata storica che i laici, cioè coloro che ritengono non debba esserci alcuna interferenza tra istituzione religiosa e stato, non possono per nessun motivo dimenticare. La situazione politica e sociale è, certamente, molto cambiata dal tempo della presa di Porta Pia.

Eppure, a pensarci bene, quel 1870 è più vicino di quanto si possa immaginare. Anche oggi c’è necessità di una breccia e, per giunta, di più ampie proporzioni. I confessionalismi, nella loro declinazione peggiore, avanzano, minacciano, fanno paura.

Stiamo assistendo ad una lotta senza quartiere per l’imposizione e il predominio di una verità assoluta, con tutto ciò che di negativo ne consegue come diretto e inevitabile riflesso nella vita civile, nella nostra quotidianità.

Le nostre libertà, quelle liberali, per intenderci, sono fortemente a rischio. Da un lato, la continua ingerenza della Chiesa cattolica, apostolica, romana, in versione ratzingeriana e, quindi, anticonciliare, comprime e limita pesantemente lo spazio per quell’azione riformatrice di cui il paese necessita come dell’ossigeno, dall’altro, si avverte come altrettanto asfissiante la pressione coercitiva proveniente da quella parte d’islam divenuta sempre di più integralista, fanatica, barbaramente ottusa.

Lo vediamo ormai, purtroppo, tutti i giorni. Come un bubbone pestifero, l’incomunicabilità si sta diffondendo a macchia d’olio. Emblematica è la paura riscontrabile nei nostri migliori intellettuali. C’è come una sorta di autocensura, di arrendevolezza dovuta al terrore di eventuali ritorsioni per vignette, battute, opinioni che potrebbero risultare sgradite ad orde deliranti pronte ad incendiare animi e piazze.

Non si possono esprimere liberamente giudizi. Bisogna andare con i piedi di piombo, timorosi di non scalfire altrui suscettibilità. In compenso, si accetta passivamente un bavaglio che di fatto viene così messo alle nostre coscienze. Si tratta di un ennesimo, e stavolta più palese e drammatico, episodio della lotta tra democrazia e totalitarismo.

Fa riflettere amaramente che un goffo imitatore hitleriano come l’attuale presidente iraniano, che senza mezzi termini ha sbandierato ai quattro venti il proposito di distruggere lo stato israeliano, possa trovare credito presso i nostri governanti e trovi una sponda sicura nel presidente della repubblica francese. Viene spontaneo chiedersi che ruolo svolga realmente la Francia nella vicenda del nucleare iraniano e, più in generale, nel traffico internazionale di armi.

Siamo ad un bivio e non possiamo restare in mezzo al guado, a meno che si voglia accettare con indifferenza e acquiescenza l’imposizione di burqa e chador per tutte le donne e magari le recite coraniche negli istituti scolastici oppure, dall’altra parte, il ripristino del Sillabo. Non possiamo consentirlo anche per rispetto del sangue versato da chi, nel 1870 come nella resistenza, ha consegnato la propria vita, se stesso, ad una battaglia di libertà per tutti, non per pochi.

Ecco perché oggi, con commozione e insieme con fierezza, guardiamo a Porta Pia con l’auspicio che il muro dell’odio possa crollare una volta per tutte e si affermino dialogo, nonviolenza, apertura, libera religiosità, in una parola che il liberalismo prevalga su ogni tentazione autoritaria, coercitiva.

martedì 1 gennaio 2008

libro: L'ultimo giorno del Papa Re. 20 settembre 1870: la breccia di Porta Pia

recensione libro:
L'ultimo giorno del Papa Re. 20 settembre 1870: la breccia di Porta Pia
di Di Pierro Antonio, Mondadori, 2007
Roma, 20 settembre 1870. Il generale Cadorna ordina il bombardamento delle mura pontificie in un punto vicino a Porta Pia: pochi minuti e si forma una breccia, attraverso la quale l'esercito italiano può entrare nella città che da più di un millennio è sotto il potere assoluto della Chiesa cattolica. Un evento che corona la lotta per l'unificazione e l'indipendenza d'Italia, ma apre anche una serie di problemi e questioni che rimarranno a lungo a condizionare la vita, non solo politica, del popolo italiano. Poco rilevante dal punto di vista militare, data la decisione papale di non opporre che una resistenza simbolica all'invasione, la breccia di Porta Pia rimane uno dei momenti fondamentali della storia d'Italia e di Roma. Antonio Di Pierro, dopo il successo della sua cronaca del sacco di Roma del 1527, torna a raccontare una giornata di monumentale valore storico, in cui la città eterna si trovò ancora una volta a essere il teatro in cui andava in scena la Storia.

Il cippo di ricordo della Breccia di Porta Pia

Quando a Roma comandava il Papa re

Quando a Roma comandava il Papa re
Massimo Scioscioli con Antonio Carioti

Il convegno dei radicali non è stato l'unica manifestazione laica in occasione del 20 settembre. In Campidoglio l'Associazione mazziniana di Roma, il centro studi Bertrand Russell e il circolo Giustizia e Libertà hanno organizzato un incontro, alquanto affollato, per rispondere alle accuse di parte cattolico-integralista contro i protagonisti dell'unità d'Italia. Titolo: "Una provocazione inaccettabile: il Risorgimento da riscrivere".

Sullo stesso tema abbiamo ascoltato uno degli organizzatori del dibattito: il professor Massimo Scioscioli, studioso del pensiero di Mazzini e autore della biografia di Goffredo Mameli "Virtù e poesia", edita da Franco Angeli.

Sul "Corriere della Sera" il cattolico Vittorio Messori ha dipinto la breccia di Porta Pia come un atto di aggressione contro un governo legittimo. Dimentica però che il potere temporale dei papi era stato dichiarato decaduto oltre vent'anni prima, nel 1849, dall'Assemblea Costituente della Repubblica romana.

Proprio così. Si trattava del primo Parlamento eletto in Italia a suffragio universale, nei territori dello Stato pontificio, che depose Pio IX dal trono e proclamò la Repubblica, poi caduta sotto i colpi delle truppe francesi e austriache. Gli storici cattolici seri ammettono che quelle elezioni si svolsero con grande regolarità e l'affluenza alle urne, tenuto conto dei tempi, fu piuttosto elevata, benché il Papa aveva lanciato la scomunica contro chiunque partecipasse alle operazioni necessarie per riunire la Costituente, elettori compresi.


Un altro dato da ricordare è che le condizioni dello Stato pontificio, per quanto riguarda le libertà civili e il tenore di vita dei sudditi, erano davvero pessime.

Anche in questo caso mi rifaccio a quanto scrive uno studioso cattolico di grande autorevolezza, padre Giacomo Martina, la cui biografia di Pio IX è uscita con l'imprimatur del vicariato di Roma. Nella prima metà del XIX secolo, su due milioni e mezzo di abitanti dello Stato pontificio, ben 400 mila erano censiti come vagabondi, prostitute, mendicanti e categorie analoghe. Il 40 per cento della proprietà fondiaria era nelle mani di enti religiosi. Nelle carceri languivano oltre 30 mila detenuti, una cifra enorme rispetto ai 50 mila reclusi dell'Italia di oggi, che ha circa 57 milioni di abitanti. Tutti gli impieghi statali di un qualche prestigio erano riservati al clero, l'ordine pubblico era affidato a milizie private capaci di ogni soperchieria.

Era una situazione che danneggiava anche il prestigio della religione cattolica, come si evince dagli amari sonetti del poeta Giuseppe Gioachino Belli, che certo non era un pericoloso rivoluzionario. Di fronte a tanto sfacelo sociale, economico e morale, le potenze europee avevano chiesto ufficialmente l'adozione di qualche riforma. Ma Gregorio XVI, predecessore di Pio IX, aveva rifiutato di dar loro ascolto.

Invece Mastai Ferretti apparve all'inizio come un Pontefice riformatore.

Si rese conto che c'era bisogno di cambiare qualcosa per riavvicinare i sudditi alla figura del Papa. Ma promosse soltanto cambiamenti di carattere amministrativo, eludendo il problema centrale, cioè se le istituzioni dovessero essere rappresentative della volontà popolare. In realtà era convinto che i principi democratici fossero incompatibili con il potere temporale della Chiesa, necessariamente teocratico.

Infatti quando il popolo insorse, invocando la libertà, Pio IX fece appello alle armi straniere, che dal 1849 in poi divennero il principale sostegno del suo trono.

L'esercito pontificio passò in blocco al servizio della Repubblica e diede una buona prova nella resistenza contro austriaci e francesi. Da allora Pio IX dovette affidarsi a milizie mercenarie e alle truppe inviate dal governo di Parigi. Va ricordato che il presidente francese Luigi Bonaparte, il futuro Napoleone III, nel 1849 invitò il Papa a introdurre riforme incisive, ma il Pontefice fu irremovibile e pretese la piena restaurazione dell'assolutismo. Così il timido Statuto del 1848 venne revocato e gli ebrei romani furono nuovamente chiusi nel ghetto.

Insomma, la rottura fra laici e cattolici, nel Risorgimento, fu provocata soprattutto dall'intransigenza del Papa.

Al contrario di quanto sostengono Messori e i vari ideologi di Comunione e Liberazione, i patrioti non cercavano affatto lo scontro con la Chiesa. Nel 1848, in Francia come in Italia, i credenti furono molti attivi nella rivoluzione democratica. Al Risorgimento diedero un contributo essenziale pensatori cristiani come Antonio Rosmini e Vincenzo Gioberti. E non dimentichiamo un grande cattolico liberale come Alessandro Manzoni, che fu senatore del regno. Dopo la breccia di Porta Pia, i governanti italiani cercarono di venire a patti con il Papa. Ma Pio IX rigettò ogni mediazione, sperando probabilmente che un intervento militare straniero gli potesse restituire il potere temporale. Questa volta però rimase deluso.

Tuttavia il conflitto fra Stato e Chiesa assunse caratteri molto aspri, tanto che alcuni vescovi vennero perfino arrestati.

Sì, ma furono episodi piuttosto sporadici. Bisogna tener conto che per costruire lo Stato moderno era indispensabile limitare l'influenza del clero, come del resto si era già fatto in tutta Europa. Non era accettabile che l'anagrafe, l'istruzione, il matrimonio rimanessero nelle mani esclusive della Chiesa, con pesanti discriminazioni per le minoranze religiose, oppure che fosse impossibile citare in giudizio monaci e sacerdoti, se non davanti al foro ecclesiastico. Quando poi alcuni esponenti del clero, abusando della propria autorità spirituale, presero ad attaccare violentemente le leggi dello Stato, era impensabile che non ci fosse una ferma reazione da parte del governo.

Così la conciliazione avvenne con grande ritardo, nel 1929, e sotto il segno dittatoriale del fascismo.

Anche questo la dice lunga. Nel periodo dello Stato liberale il Papa non subì alcun ostacolo al compimento della propria missione spirituale e i suoi fedeli godettero della piena libertà d'associazione, tanto che l'Opera dei Congressi, la maggiore organizzazione cattolica intransigente, prosperava senza problemi. E poi nacque il Partito popolare, predecessore della Democrazia cristiana. Ma il Vaticano preferì sacrificare i cattolici democratici sull'altare dell'accordo con un despota miscredente come Mussolini.

Venendo ai giorni nostri, come giudicare la beatificazione di Pio IX?

Mi sembra uno squillo di tromba per chiamare a raccolta il cattolicesimo integralista, probabilmente anche per questioni interne alla Chiesa. Di certo è una dichiarazione di guerra alla modernità: così come Pio IX, nel "Sillabo", condannò l'intera civiltà liberale, oggi il Vaticano è impegnato in un'aspra offensiva contro la libertà della ricerca scientifica. Infine esaltare l'ultimo Papa re significa attaccare lo Stato nazionale, magari nel nome di un confuso "federalismo" che tende a sfociare nel secessionismo. Temo che la cultura del cattolicesimo democratico europeo, quello di De Gasperi e Konrad Adenauer, stia finendo nel dimenticatoio. E la cosa mi preoccupa molto.

Non è scorretto però leggere una beatificazione in chiave prevalentemente politica? Giulio Andreotti obietta che Pio IX è stato canonizzato per la sua statura spirituale, non per le sue scelte di sovrano.

Ovviamente non ho la minima idea di quale rapporto avesse Pio IX con la dimensione divina. Dalle fonti cattoliche, a dire il vero, non risulta che fosse proprio la santità impersonificata. Non so quali informazioni abbia in proposito il senatore Andreotti: certo nel suo libro su Papa Mastai Ferretti ci sono brani che destano grandi perplessità.

Quali esattamente?

Faccio un solo esempio. Andreotti scrive che Pio IX era in buoni rapporti con Rosmini, tanto che voleva farlo cardinale. Leggendo questa affermazione, sono rimasto francamente allibito. Pare in effetti che a Roma, nel novembre 1848, il Pontefice avesse solennemente promesso la berretta cardinalizia a Rosmini. Ma poi il Papa fuggì a Gaeta, di fronte ai moti popolari, e dopo qualche giorno la berretta cardinalizia finì sulla testa del laico Giacomo Antonelli, uomo di spiritualità piuttosto opinabile. Più tardi Pio IX condannò e mise all'indice le opere del povero Rosmini, che ne fu molto addolorato e quasi ne morì di crepacuore. Com'è possibile sorvolare su tutto ciò, come fa disinvoltamente Andreotti?




dal sito: http://www.caffeeuropa.it/attualita/101attualita-scioscioli.html

XX settembre 2007: “Porta Pia, la breccia della libertà”

XX settembre 2007: “Porta Pia, la breccia della libertà”,
manifestazione contro il fondamentalismo clericale e i privilegi vaticani, per la libertà religiosa

Roma, 16 settembre 2007

• Comunicato stampa di Partito Radicale, Radicali Italiani e Associazione Coscioni

XX SETTEMBRE 1870 - XX SETTEMBRE 2007

“PORTA PIA - LA BRECCIA DELLA LIBERTÀ”: MANIFESTAZIONE CONTRO IL FONDAMENTALISMO CLERICALE E I PRIVILEGI VATICANI, PER LA LIBERTA’ RELIGIOSA. SEGUE FIACCOLATA FINO A CAMPO DE' FIORI.

INVITO AD AUTORITÀ ISTITUZIONALI E FORZE POLITICHE

Giovedì 20 settembre 2007, alle ore 17.30, a Porta Pia (Via XX Settembre – Roma), il Partito Radicale, Radicali Italiani e l’Associazione Coscioni hanno indetto una manifestazione contro tutti i fondamentalismi, per ricordare, come ogni anno, la fine del potere temporale dello Stato Pontificio sulla città di Roma e celebrare la libertà di religione contro la religione di Stato e dei privilegi.

La manifestazione proseguirà con una fiaccolata che terminerà in Piazza Campo de’ Fiori, sotto la statua di Giordano Bruno.

Nel dare questo annuncio, i Radicali sottolineano il fatto che nessuna altra organizzazione di partito o politica ha indetto alcuna manifestazione pubblica. Sono perciò a maggior ragione invitate tutte le forze politiche, le associazioni e i cittadini laici, democratici, anticlericali, liberali, socialisti, nonché i credenti in altro che nella simonia e nel potere.

Ci auguriamo che Sindaco, Presidenti di provincia e di Regione e autorità istituzionali ai massimi livelli non si limitino alla burocratica consuetudine di far depositare corone, ma trovino forme e tempi di una loro presenza diretta a Porta Pia. Ci auguriamo anche che le organizzazioni politiche sedicenti laiche non vorranno considerarsi semplicemente rappresentate dai loro migliori esponenti, ma contribuiranno all’organizzazione dell’evento nel fazzoletto di giorni rimasti.

Per aderire, inviare una email a info@radicali.it, specificando “partecipazione a XX settembre”.
dal sito: http://www.radicali.it/view.php?id=104091

Il 20 Settembre torni ad essere festa nazionale

Il 20 Settembre torni ad essere festa nazionale

Il 20 settembre 1870 le truppe italiane entravano a Roma, riuscendo ad aprirsi una breccia a Porta Pia, sconfiggendo le truppe papaline.
La presa di Porta Pia rappresenta non solo l'annessione di Roma al Regno d’Italia di cui divenne capitale, ma anche la caduta del Potere temporale del Papa e del potere vaticano sulla città.
Il Regno sancì così la separazione fra potere Statale e potere temporale, concedendo al Papa il governo della SOLA Città del Vaticano. Si realizzarono così i sogni di tutti i democratici dell'epoca: mazziniani, liberali, repubblicani, socialisti, ebrei, massoni e di tutti gli anticlericali.
Questa giornata nazionale della laicità dello Stato, dell'anticlericalismo non antireligioso, fu festa nazionale italiana sino all'avvento del fascismo e dalla sua caduta non fu mai più ripristinata.
Purtroppo, oggi, la separazione fra Chiesa e Stato sancita nel Risorgimento è pressoché inesistente dopo la stipula del Concordato fra Mussolini e la Santa Sede nel 1929, assurdamente inserito nella Costituzione repubblicana (Art. 7) con il voto congiunto di democristiani e comunisti nel 1947, ed il successivo Concordato, con il governo Craxi, stipulato fra Italia e Vaticano.
Punterei oltretutto il dito su diverse questioni che vanno dal meccanismo dell'otto per mille nella dichiarazione annuale del reddito che, nei fatti, è una vera e propria spartizione di quattrini fra Stato e Chiesa cattolica (che peraltro ad oggi incamera circa un miliardo di euro per alimentare la sua struttura burocratica e di potere) passando per l'esenzione dell'ICI sui beni ecclesiastici voluta prima dal governo Berlusconi e poi dall'esecutivo Prodi, sino alle dichiarazioni di sapor oscurantista sulla sessualità e contro la libertò di ricerca scientifica da parte delle gerarchie vaticane presiedute da Banedetto XVI.
Né si può inoltre dimenticare, nel silenzio complice di partiti e sindacati, lo scandalo, unico al mondo, di 25.000 docenti di religione cattolica immessi in ruolo nella scuola di Stato senza essere mai passati attraverso una graduatoria pubblica, ma scelti discrezionalmente dagli apparati diocesani.
E' giunto il momento che i laici italiani si facciano nuovamente sentire in ogni piazza e in ogni luogo democratico:

- per il ripristino immediato della festività del 20 settembre

- per una nuova separazione fra Stato e Chiesa ovvero: abolizione del Nuovo Concordato dell'art. 7 della Costituzione.

Luca Bagatin
www.lucabagatin.ilcannocchiale.it

(...)



dal sito http://www.rosanelpugno.it/rosanelpugno/node/17143

Proposta di legge: Ripristino della festa nazionale del 20 settembre

In occasione del 20 settembre l’Onorevole Franco Grillini ha presentato una proposta di legge per ripristinare la festività nazionale nel giorno della presa di Porta Pia, che nel 1870 sancì la fine del potere temporale della Chiesa.

Proposta di legge: Ripristino della festa nazionale del 20 settembre

ONOREVOLI COLLEGHI !
La presente proposta di legge intende ripristinare la festa nazionale del 20 settembre. Sino all’avvento del fascismo il 20 settembre era festeggiato come giornata dell’unità nazionale. Con la presa di Roma, il 20 settembre 1870, la Chiesa romana perdeva il suo potere temporale e l’Italia diventava una Nazione. La breccia di Porta Pia fu opera dei bersaglieri, che fecero sparare la prima cannonata da un tenente ebreo per evitare la scomunica comminata da Pio IX a chi avesse sparato per primo. Lo Stato unitario nasce quindi su basi laiche e liberali, travolte poi dalla dittatura fascista, che non a caso abolì questa festività in ossequio e come corollario dei Patti lateranensi del 1929.
Con una legge del 1930, poi, non solo il regime fascista abolì la festività del 20 settembre ma introdusse gli anniversari della marcia su Roma e della fondazione dei fasci di combattimento come feste nazionali e l’anniversario dei Patti lateranensi tra le solennità civili.
Attualmente si ripresentano rischi verificabili di integralismo religioso e di intrusione nella sfera di autonomia dello Stato.
Riproporre la festività del 20 settembre significa recuperare alla memoria collettiva una data fondante per la nostra Nazione (non a caso celebrata con la presenza pressoché in ogni città italiana di vie e piazze ad essa dedicata in zone centrali) e al contempo respingere ogni forma di integralismo. Significa, insomma, riaffermare la laicità dello Stato che, in quanto tale, deve essere di tutti e riaffermare che la libertà religiosa è prima di tutto un diritto individuale che la Costituzione garantisce ad ogni persona di qualsiasi credo.

ART. 1.

1. A decorrere dal 2003 la celebrazione del Risorgimento italiano ha nuovamente luogo il 20 settembre di ciascun anno, che pertanto viene ripristinato come giorno festivo.

ART. 2.

1. Le vie, le piazze ed ogni altro luogo intitolato alla ricorrenza del 20 settembre sono sottoposte a vincolo di tutela culturale e storica.

Per seguire la proposta di legge sul XX settembre

questo è il link su cui si può seguire la proposta di legge per far diventiare il XX Settembre una festività civile:

http://www.camera.it/_dati/lavori/schedela/trovaschedacamera_wai.asp?PDL=328

Riconoscimento della data del 20 settembre, anniversario della «breccia di Porta Pia», quale solennità civile

Camera dei Deputati, Proposta di legge n. 328 del 3/5/2006

d’iniziativa del deputato CENTO

Riconoscimento della data del 20 settembre, anniversario della «breccia di Porta Pia», quale solennità civile

Presentata il 3 maggio 2006

Onorevoli Colleghi!

La prima proposta di legge per celebrare il 20 settembre, anniversario della «breccia di Porta Pia» e della liberazione di Roma, con la fine del potere temporale del Papa, è stata presentata alla Camera dei deputati dall’onorevole Niccolò Gallo nel maggio 1889. Si dichiarava il 20 settembre «Festa nazionale per celebrare l’Unità d’Italia», che allora era festeggiata, insieme con lo Statuto del Regno, ai sensi dell’articolo 1 della legge 5 maggio 1861, n. 7, la «prima domenica del mese di giugno di ogni anno».
In pratica si spostava al 20 settembre la festa per l’Unità d’Italia mentre rimaneva alla prima domenica di giugno la festa per lo Statuto.
La proposta di legge non è stata mai discussa.
La seconda proposta di legge è stata presentata, nel dicembre 1891, alla Camera dei deputati dall’onorevole Nicola Vischi. Si modificava l’articolo 1 della citata legge 5 maggio 1861, n. 7, dichiarando il 20 settembre «Festa nazionale per celebrare l’Unità d’Italia e lo Statuto del Regno».
In pratica si spostava al 20 settembre la Festa nazionale prevista per la prima domenica di giugno, in quanto tale data, ricordando «il riscatto della nostra Roma capitale e la caduta del potere temporale dei Papi» era «la più degna di essere prescelta per le celebrazioni della festa della unità e della libertà della patria». Il 20 settembre diventava l’unica data per festeggiare sia l’Unità nazionale che lo Statuto, per evitare duplicazioni di celebrazioni e «possibilità di gare» con la Festa dello Statuto, se questo si fosse continuato a festeggiarlo la prima domenica di giugno.
L’esame della proposta di legge (che aveva il n. 265 degli atti della Camera dei deputati) era stato affidato ad una Commissione composta da nove deputati.
La Commissione, in seguito alle osservazioni di due deputati che volevano lasciare in vigore la legge n. 7 del 1861, celebrativa dello Statuto la prima domenica di giugno, limitò l’effetto della proposta di legge solo a dichiarare il 20 settembre «giorno festivo agli effetti civili», aggiungendolo all’elenco delle festività stabilite dalla legge 23 giugno 1874, n. 1968, che erano tutte di carattere religioso, anche perché aveva ritenuto che il 20 settembre non avesse «bisogno di essere legislativamente dichiarato festa nazionale, essendo già tale nei cuori degli italiani».
La proposta di legge, pur così modificata dalla Commissione, non fu mai esaminata dalla Camera dei deputati.
Tenendo conto del testo elaborato dalla Commissione parlamentare nel 1892, l’onorevole Vischi ripresenta, all’inizio del luglio 1895, la proposta di legge per dichiarare il 20 settembre «giorno festivo per gli effetti civili».
La legge viene promulgata dal Re Vittorio Emanuele II il 19 luglio 1895 con il n. 401.
Con il regio decreto 30 dicembre 1923, n. 2859, il 20 settembre diventa anche «solennità civile».
Durante il regime fascista l’elenco delle feste nazionali, dei giorni festivi e delle solennità civili subisce varie modifiche con l’introduzione di nuove feste, alcune delle quali celebrative del regime.
Così, per volontà di Mussolini, fu abolita la festa del 20 settembre, ma il ricordo di essa vive ancora, nella memoria degli italiani e nella intitolazione di strade e di piazze in molte città, per cui la festa del 20 settembre merita di essere ripristinata quale solennità civile.
La presente proposta di legge intende appunto raggiungere questo scopo.



PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

1. Il giorno 20 settembre, anniversario della «breccia di Porta Pia», è riconosciuto quale solennità civile.
2. In attuazione del riconoscimento di cui al comma 1 del presente articolo, all’articolo 3 della legge 27 maggio 1949, n. 260, è aggiunto, in fine, il seguente capoverso: «il 20 settembre: anniversario della “breccia di Porta Pia”».

Il nostro XX settembre

Discorso di Ernesto Rossi a Firenze il 20 settembre 1959.
incluso nell'antologia "Pagine anticlericali" (Massari Editore).

1. Un anno e mezzo dopo la firma dei Patti laternanesi, il 13 settembre 1930, ricevendo cinquecento sacerdoti, assistenti diocesiani delle varie organizzazioni dell'Azione cattolica, Pio XI disse che quella visita gli recava particolare conforto, "alla vigilia sempre dolorosa del 20 settembre, di quel 20 settembre che ancora una volta tornava - egli voleva ormai credere e non più sperare - per l'ultima volta". Diceva di crederlo, anziché sperarlo, "perché ciò era stato assicurato e promesso da autorevole parola, alla quale volevo credere".

Perché il 20 settembre - ci domandiamo - era una data tanto dolorosa al cuore del Santo Padre?

Prima di tutto perché il 20 settembre 1870 aveva segnato la fine del potere temporale dei papi, che da undici secoli consentiva al pontefice di fare la guerra, riscuotere le imposte, batter moneta, mettere in galera e accoppare i sudditi, come facevano gli altri sovrani.

Il potere temporale non aveva accresciuto il prestigio della Santa sede. Nel XVI canto del Purgatorio già Dante aveva affermato che "la Chiesa di Roma/ per confondere in sé due reggimenti/ cade nel fango a sé brutta e la soma".

La Chiesa, nello spregiudicatissimo linguaggio dell'Alighieri, era divenuta una "puttana sciolta".

Due secoli dopo un altro grande, il Machiavelli, nei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, aveva scritto che, per "gli esempi rei" della corte di Roma, l'Italia aveva perduto ogni devozione e ogni religione.

"Abbiamo con la Chiesa e coi preti noi italiani questo primo obbligo di essere diventati senza religione e cattivi".

E un obbligo anche maggiore gli italiani avevano verso la Chiesa per aver mantenuto l'Italia disunita, mentre la Francia e la Spagna si componevano a nazione: "perché avendovi abitato e tenuto impero temporale, non è stata sì potente, né di tal virtù che l'abbia potuto occupare il restante d'Italia, e farsene principe; e non è stata, dall'altra parte, sì debole, che per paura di non perdere il dominio delle cose temporali, la non abbia potuto convocare un potente che la difenda contro quello che in Italia fosse diventato troppo potente".

Questi furono due fra i principali motivi dell'opposizione al potere temporale durante il Risorgimento, ai quali si aggiunge quello dell'impossibilità del governo della Chiesa di adeguarsi ai principi della civiltà moderna.

Nella seduta della Camera del 25 maggio 1861, l'on. Audinot, deputato della destra, esponeva con queste parole le conseguenze del potere temporale:

"L'ordine ieratico nel governo delle cose politiche e delle civili porta quelle istesse massime di infallibilità e di immobilità che riconosce nel dogma cattolico; quindi col potere temporale del sommo pontefice non è compatibile la libertà di coscienza, che è la prima fra le moderne libertà; quindi col governo temporale pontificio sono impossibili la libertà di stampa, la libertà dell'insegnamento; con questo governo è impossibile l'uguaglianza dei cittadini dinnanzi alla legge; con questo governo è impossibile recare in mano ai laici lo stato civile, le nascite, i matrimoni, le morti; con questo governo sono impossibili le riforme economiche in ordine ai beni posseduti dalle manomorte. Con questo governo è impossibile lasciare ai laici la direzione di tutto quanto rigurada l'educazione e l'istruzione. E infine, o signori, il governo pontificio non può abbandonare, senza un'influenza quasi esclusiva, alla libertà comune tutte quelle materie che nel linguaggio della curia romana si chiamano materie miste. E sapete voi che cosa sono queste materie miste. Comprendono presso a poco tutti i fatti umani".

Tali affermazioni trovarono, punto per punto, la loro conferma tre anni dopo, nel Sillabo, che nell'ultima proposizione condannò, come pernicioso errore del secolo, anche l'idea che il romano pontefice "potesse e dovesse riconciliarsi e venire a composizione col progresso, col liberalismo e con la moderna civiltà".

Dopo Audinot, nella stessa seduta del 25 maggio 1861, Cavour disse che non sapeva concepire una sventura maggiore, per un popolo colto, di quella di vedere riuniti in una sola mano il potere civile e il potere religioso:

"La storia di tutti i secoli, come di tutte le contrade, ci dimostra che, ovunque questa riunione ebbe luogo, la civiltà sempre immediatamente cessò di progredire, anzi sempre indietreggiò; il più schifoso dispotismo si stabilì, e ciò, o signori, sia che una casta sacerdotale usurpasse il potere temporale, sia che un califfo o un sultano unisse nelle sue mani il potere spirituale".

2. Alla vigilia del moto per l'unificazione dell'Italia il malgoverno degli Stati della Chiesa costituiva, per tutti gli spiriti illuminati del tempo, un'irrefutabile prova dell'incapacità, dell'ignoranza, della venalità della Corte di Roma.

In Roma, Napoli e Firenze Stendhal riporta, fra gli altri documenti del "dispotismo ecclesiastico", un'ordinanza della polizia per il teatro Valle, che, meglio forse di altri esempi, può darci un'idea del modo in cui, nel 1817, veniva mantenuto l'ordine pubblico nella "città sacra":

"Cento colpi di bastone somministrati immediatamente sul patibolo (che si trovava in permanenza in Piazza Navona, con una torcia e una sentinella) per lo spettatore che prendesse il posto di un altro; cinque anni di galera per chi levasse la voce contro la maschera che distribuiva i posti".

Il giudizio - scrisse lo Stendhal - "avveniva secondo le dolci forme dell'Inquisizione".

Nelle Passeggiate a Roma, sotto la data 27 gennaio 1828, lo stesso autore scrive che, per i romani autentici, lavorare era cosa contro natura, e sarebbe parso il colmo del ridicolo arrischiare anche solo un graffio nell'interesse del papa, loro sovrano, di cui aspettavano tutti la morte, godendone in anticipo.

"Quando il mio giovane barbiere racconta qualche assurda usanza, di cui si lamenta, non manca mai di aggiungere: "Che volete, o signore! siamo sotto i preti!"

Nei sonetti del Belli ritroviamo la Roma bollata a fuoco da Dante come la città "dove Cristo tutto dì si merca".

Scriveva il Belli nel 1832:

"C'a sto paese già tutt'er busilli
sta in ner vive a lo scrocco e ffa orazione"

Ed in centinaia e centinaia di sonetti il Belli ha descritto in qual modo, dal sommo pontefice all'ultimo magnaccia, tutta Roma viveva a scrocco e faceva orazioni; nella Quaresima ci ha lasciato il ritratto del "buon cristiano", che nello stesso giorno passava da una chiesa all'altra a prendere la comunione per ottenere i polizzini da vendere a chi non si voleva comunicare.

Alla metà del secolo, il duca di Sermoneta, confidava al grande economista inglese Senior, che ne prendeva nota nel suo diario sotto la data 5 marzo 1951 (Nassaw William Senior, L'Italia dopo il '48, Bari 1937, p.19):

L'assassinio è quasi l'unico costume classico che noi abbiamo conservato; nelle altre cose siamo più turchi che europei. Il nostro sistema di governo è eminentemente turco. Consiste in un despotismo centrale e in despoti provinciali, che i turchi chiamano pascià e cadì e noi cardinali e preti".

Queste parole trovano conferma negli scritti del D'Azeglio, del Farini, del Minghetti, e di tutti gli altri patrioti che ci hanno lasciato la descrizione di quella che era la vita politica e civile negli Stati della Chiesa: persecuzioni, galera, esecuzioni sommarie per soffocare tutti i rapporti familiari e di affari regolati dal codice canonico; foro ecclesiastico anche nelle cause civili; giudici obbedienti ai desideri del sovrano più che alle leggi; cittadini alla completa mercé della polizia, composta di ribaldi tratti dalle più abiette categorie sociali; la difesa del territorio affidata a truppe mercenarie straniere; l'educazione dei giovani riservata ai preti e alle monache; la teologia in luogo degli studi scientifici; nepotismo, corruzione e ruberie in tutti gli uffici; censura che impediva ogni libera espressione del pensiero; finanze pubbliche sempre dissestate; industria, agricoltura, commercio ostacolati da mille vincoli; continui moti insurrezionali e brigantaggio endemico nelle province; insolente riccheza di pochi parassiti di fronte alla più nera miseria delle plebi; dovunque preti, feste, processioni e miracoli; in tutte le classi sociali camorra, spionaggio, ignoranza e superstizione.

Il giudizio negativo, anche di molti ecclesiastici, sul papa sovrano, si rifletteva naturalmente sul papa vicario, di Cristo, con grave discredito della religione.

Pochi anni dopo la caduta del potere temporale, Settembrini, nelle Ricordanze della mia vita, scriveva:

"I popoli che formavano lo Stato della Chiesa erano, fra tutti gli italiani, i più straziati, perché avevano sul collo i preti e gli stranieri. Gli austriaci stavano minacciosi al confine e dentro seimila svizzeri, con altre migliaia di fecciosi ribaldi, formavano l'esercito del papa. I preti governavano coi codici dei sette peccati mortali; e chi non ha conosciuto il governo dei preti non sa quale sia l'ultima tirannide, la quale ormai è caduta perché Dio e gli uomini erano stanchi di tante scelleratezza".

Ma fino al 1870 la curia romana continuò a sostenere che il principato del pontefice aveva un carattere sacro, e che il papa doveva avere l'assoluta sovranità su un vero e proprio regno (non su uno Stato simbiotico, qual è oggi la Città del Vaticano) per garantire l'indipendenza del suo ministero spirituale.

3. Oltre a ricordare che non era stato possibile fare l'Italia senza disfare gli Stati della Chiesa, il 20 settembre ricordava a Pio XI che il nostro Risorgimento è stato decisamente anticlericale.

In un articolo pubblicato nel 1911, sotto il titolo "Il 20 settembre festa massonica", la Civiltà cattolica, affermò che il Risorgimento era stato una sfida al cattolicesimo, in quanto aveva significato l'emancipazione della società della Chiesa:

"Né dicasi che è opinione di settori solamente; perché la proclamazione fu unanime e non fu contraddetta da alcuno. In realtà poi si rileva da testimonianze e documenti tale da essere stato il pensiero di uomini di ogni partito, che con la parola, con gli scritti, coll'azione cooperarono al cosiddetto risorgimento nazionale, coronato il 20 settembre 1870 mercé le bombe del Cadorna. Col Mazzini, che fin dal 1852 sentenziava: "Il popolo italiano è chiamato a discutere il cattolicesimo " e voleva l'abolizione del potere temporale perché porta seco l'emancipazione del genere umano dalla potenza spirituale, sentevano almeno in sostanza non solo il Garibaldi, eccitante la plebe ad estirpare il cancro del Popolo, non solo il Mameli, proclamante in Parlamento, fino dal 1866, nobile missione dell'Italia essere difendere solidamente, e pel bene di tutti la libertà di coscienza, debellando nel Papato e nelle Istituzioni che lo reggono il baluardo che ferma l'umanità, non solo altri noti a tutti per le loro idee eccessive; ma uomini moderati altresì dell'antica destra, quali un Visconti Venosta, un Bonghi, un Riccardi".

La rivista della Compagnia di Gesù aveva ragione: il nostro Risorgimento fu e non poteva essere che anticlericale perché si ispirò all'ideale della libertà, mentre il Vaticano era il centro di coordinamento di tutto quanto il mondo.

L'eroe che, per il nostro popolo, ha incarnato meglio quell'ideale fu Giuseppe Garibaldi, ed il Garibaldi vero, non denicotinizzato dai testi scolastici, odiava il papa e i preti molto più di quanto odiasse Francesco Giuseppe e gli austriaci.

Il 28 aprile 1961 ad esempio, egli scriveva alla Società operaia napoletana, che sarebbe stato un sacrilegio continuare nella religione dei preti di Roma.

"Essi sono i più fieri e terribili nemici dell'Italia. Dunque fuori dalla nostra terra quella setta contagiosa e perversa".

E, in un indirizzo alla società italiana degli operai, scritto nell'ottobre dello stesso anno, additava al disprezzo dei lavoratori la "razza satanica" dei preti, che, mentre l'Italia faceva ogni sforzo per costituirsi a nazione, erano disposti a venderla anche al sultano, "e venderebbero Cristo se non l'avessero già venduto da tanto tempo".

"Fuggite la Chiesa, la vendetta che puzza d'infetti rettili e non la permettete ai vostri congiunti".

Nella prefazione alle sue memorie, Garibaldi, il 3 luglio 1872, scriveva di aver sempre attaccato il "pretismo", perché aveva sempre trovato in esso "il puntello di ogni dispotismo, di ogni vizio, di ogni corruzione".

"Il prete è la personificazione della menzogna. Il mentitore è ladro. Il ladro è assassino, e potrei trovare al prete una serie di altri infami corollari".

Era questo il linguaggio abituale di Garibaldi, quando parlava dei preti. E tutta la sinistra, se pur non adoperava il suo linguaggio, condivideva i suoi sentimenti.

Ma anche gli uomini più moderati, quelli che andavano in chiesa e prendevano i sacramenti, seppero far fronte a tutti i fulmini del papa: abolire, a suo dispetto, i privilegi ecclesiastici, combattere ogni pretesa della Chiesa di ingerirsi nell'amministrazione civile; cacciare i gesuiti, imprigionare e processare i vescovi e i cardinali ribelli alle leggi; e - cosa che a me sembra ancora più meravigliosa - seppero far la guerra contro l'Austria, figlia primogenita della Chiesa, e contro il Papa, con i quattrini dei preti.

4. Infine il XX settembre ricordava a Pio XI che l'unificazione d'Italia si era compiuta contro tutte le minacce, le maledizioni, gli interdetti, le scomuniche del Papa, dando la prova migliore di quanto deboli fossero le radici della religione cattolica nell'animo popolare.

Riandiamo insieme ad alcuni episodi del nostro Risorgimento:

1831. La Romagna e l'Emilia cacciano i legati del Papa e dichiarano decaduta la sovranità pontificia. L'ordine viene ristabilito nel sangue delle truppe austriache.

1848. Negli Stati sardi emancipazione dei Valdesi e degli Ebrei; tutti i cittadini ottengono eguali diritti civili e politici, indipendentemente dalla loro religione: l'istruzione pubblica è tolta al clero; i gesuiti sono cacciati e i loro beni confiscati. Violente proteste dell'episcopato e della Santa sede.

1849. Rivoluzione popolare a Roma. Da Gaeta, dove si era rifugiato, il Papa fulmina la scomunica maggiore contro coloro che attestassero all'autorità dello Stato pontificio e contro coloro che partecipassero alle elezioni. L'assemblea costituente dichiara decaduto il potere temporale. Il Papa invoca l'aiuto delle potenze straniere. Il governo pontificio viene restaurato dalle baionette francesi a Roma e da quelle austriache nelle Legazioni.

1850. Negli Stati Sardi, la legge Siccardi abolisce il privilegio del foro ecclesiastico, le immunità ecclesiastiche e il diritto di asilo. Il governo piemontese fa arrestare e processare gli arcivescovi di Torino e di Sassari per incitamento alla disobbedienza della legge; i due arcivescovi sono condannati ed espulsi dal regno; il beni delle loro mense sequestrati. Il Papa commina le più gravi pene canoniche contro i responsabili diretti e indiretti della legge Siccardi. In risposta, viene eretto, per sottoscrizione popolare, su una piazza di Torino, un obelisco, a perpetuo ricordo di quella vittoria anticlericale, con la scritta: "La legge è uguale per tutti". Il governo nega l'exequatur ai vescovi nominati dal Papa, ed il placet ai parroci nominati dai vescovi, che non danno garanzia di fedeltà al nuovo ordine e passa all'erario le rendite dei loro benefici, come fossero rimasti vacanti. Il Parlamento continua ad approvare leggi anticlericali: abolizione delle esenzioni tributarie; soprressione degli ordini monastici "contemplativi" e confisca dei loro beni; pene contro gli abusi dei ministri del culto; divieto alle corporazioni religiose di accrescere comunque i loro beni senza l'autorizzazione sovrana; liquidazione dell'asse ecclesiastico. Il Papa dichiara irrite le leggi e lancia scomuniche.

20 giugno 1859. Stragi di Perugia ad opera delle soldataglie papaline.

1860. Dopo il plebiscito per l'annessione della Romagna, dell'Emilia, delle Marche e dell'Umbria al Piemonte, scomunica maggiore contro tutti coloro che avevano perpetrata la nefanda usurpazione e contro i loro mandanti, fautori, aiutanti, consiglieri, aderenti: completa cilecca. La Civiltà cattolica calcolò che nel 1861 erano stati aboliti 721 conventi, dispersi 12 mila religiosi, confiscati patrimoni di 104 collegiate. Gli enti ecclesiastici soppressi con la legge del 1866 furono 1809; quelli soppressi con la legge del 1867 oltre 25 mila.

A mano a mano che le diverse regioni sono annesse al Piemonte, le leggi anticlericali vengono estese a tutta l'Italia. Il Papa dichiara incorsi nelle maggiori censure ecclesiastiche coloro che acquistano o prendono in affitto i beni incamerati della Chiesa; i cattolici continuano ad acquistare e a prendere in affitto quei beni, come se niente fosse.

"Nel giro di pochi mesi dall'impresa dei Mille" - ricorda Vittorio Gorresio in Risorgimento scomunicato (Firenze 1958, p.77) - "nelle sole province meridionali, (il governo piemontese) arrestò, processò, confinò sessantasei vescovi. Nel giro di quattro anni, a partire più o meno dalla stessa data, i cardinali che furono arrestati e processati, per motivi che oggi sembrano futili, furono otto: Corsi, Baluffi, De Angelis, Carafa, Riano-Sforza, Antonucci, Moriàchini ed il futuro Leone XIII, cardinal Pecci".

25 marzo 1861. Nel suo più grande discorso sui rapporti fra lo Stato e la Chiesa, Cavour afferma che, senza Roma capitale d'Italia, l'Italia non si può costruire, e la Camera vota un ordine del giorno col quale impegna il governo a riunire Roma all'Italia.

29 agosto 1862. Aspromonte. Le truppe regie arrestano Garibaldi, che vuole marciare su Roma con i suoi volontari.

1864. Soppressione di canoni e delle decime ecclesiastiche. Il Papa emana il Sillabo, nel quale condanna, come gravissimi errori del secolo, tutte le libertà moderne.

1866. Con l'entrata in vigore del nuovo codice viene reso obbligatorio il matrimonio civile.

1867. Gli chassepots francesi "fanno meraviglie" a Mentana contro i garibaldini, arrestandone la marcia su Roma. Soppressione delle corporazioni religiose e liquidazione dell'asse ecclesiastico, in tutto il regno.

1870. Il 18 luglio il Concilio ecumenico approva il dogma dell'infallibilità del papa. Mentre le truppe del generale Cadrona sono già sotto le mura di Roma, Pio IX è ancora in attesa fiduciosa di un miracolo. Nel ricevere Ponzo di San Martino, latore della lettera in cui, "con affetto di figlio e con fede di cattolico", Vittorio Emanuele chiede il libero ingresso dei soldati italiani in Roma, "per la sicurezza di sua santità e per il mantenimento dell'ordine", (e prega anche di impartirgli l'apostolica benedizione, frirmandosi "umilissimo, obbedientissimo e devotissimo Vittorio Emanuele"), Pio IX esce in questa esclamazione:

"Non sono profeta, né figlio di profeta; ma vi assicuro che in Roma non entrerete".

Dieci giorni dopo, 20 settembre: breccia di Porta Pia. Il potere temporale cade, come un vecchio tronco imputridito; all'appello del papa a tutte le potenze cattoliche risponde solo la protesta della repubblica dell'Equador. Nuova scomunica maggiore contro "tutti coloro, forniti di qualsiasi dignità, anche meritevoli di specialissima menzione, i quali compirono l'invasione, l'usurpazione, l'occupazione di qualunquesiasi delle province dei Nostri Stati e di questa alma città, o fecero alcuna di queste cose, e parimenti i loro mandanti, fautori, aiutatori, consiglieri, aderenti o altri qualisisiano, che procurarono all'esecuzione essi stessi in qualsivoglia modo o sotto qualunque pretesto": aria fritta. Nessuno se ne dà per inteso.

Fra i nomi dei volontari che militarono sotto le bandiere del Papa fra il 1860 e il 1870 si trovano svizzeri, francesi, spagnoli, irlandesi, austriaci; non si trovano italiani. Per difendere il Santo Padre, gli italiani - come i romani descritti da Stendhal - non erano disposti a rischiare neppure una sgraffiatura.

5. Aveva dunque tutte le ragioni Pio XI di dolersi perché, dopo la "Conciliazione" venisse ancora considerata festa nazionale la ricorrenza del 20 settembre. Per chi, come lui, aveva la pretesa di rappresentare la massima autorità spirituale del mondo, non ci poteva essere umiliazione maggiore di quella sconfitta, subita nell'urbe stessa che da tanti secoli era la sede del capo della cristianità; sconfitta inferta da cattolici alla Chiesa, proprio in nome dei principi che erano stati solennemente condannati dal Sillabo.

Il popolo italiano - anche allora si diceva - è un popolo integralmente cattolico, perché il 99 per cento degli italiani hanno ricevuto il battesimo: ma veramente cattolico, per il papa, è solo chi ubbidisce al vicario di Dio in terra. Che razza di cattolici erano mai questi italiani che non tenevano conto neppure delle scomuniche, con le quali venivano esclusi dagli uffici divini e dai sacramenti? Le terribili bolle di scomunica eran diventate bolle di sapone? Neanche il moderatissimo e religiosissimo Alessandro Manzoni - lo scrittore che Pio XI amava spesso citare nelle allocuzioni su questioni riguardanti la fede - neanche Manzoni le aveva prese sul serio. Nel 1861 Manzoni aveva votato la proclamazione del regno d'Italia, e quando Roma era divenuta capitale, nonostante i suoi 85 anni, aveva voluto partecipare alla seduta di insediamento del Senato a palazzo Madama, ed aveva accettato il titolo di cittadino romano, conferitogli dalla rappresentanza comunale.

Ed il bello, o meglio il brutto, era che lo stesso Pio IX, fulminatore di tante scomuniche, aveva dimostrato di non prenderle sul serio, continuando a scrivere affettuosamente ad uno dei maggiori responsabili della legislazione anticlericale e delle "nefande usurpazioni": consentendogli di tenere un cappellano di corte; concedendogli una licenza speciale per far celebrare la messa in Quirinale, dichiarato interdetto, quando Lamarmora lo aveva occupato manu militari; inviandogli, perfino, nel gennaio del 1878, una speciale assoluzione in articulo mortis.

Se non era scomunicato Vittorio Emanuele, chi doveva considerarsi colpito dalle fragorosissime scomuniche di Pio IX?