lunedì 29 settembre 2008

Porta Pia, il silenzio dopo Cutrufo

l’Unità 29.9.08
Porta Pia, il silenzio dopo Cutrufo
di Vittorio Emiliani

È sempre più vero che, in Italia, tutto ciò che potrebbe essere dramma diventa subito commedia, o addirittura buffoneria. Un pessimo segnale. Significa che si può dire tutto quello che si vuole contro il nostro Paese e contro la sua storia migliore (quella risorgimentale, unitaria, Resistenza inclusa) senza che succeda niente, senza che più d’uno si indigni. La faccenda del vice-sindaco della capitale d’Italia, che il 20 settembre va a Porta Pia a commemorare non i soldati italiani caduti per la patria (43 morti), bensì i mercenari papalini (20 morti), sta finendo in una bolla di sapone. Anni addietro l’opposizione avrebbe fatto con durezza il suo mestiere chiedendo le dimissioni del vice-sindaco, mettendo in votazione un ordine del giorno di indignata deplorazione, interrogando il sindaco stesso sulla preparazione della carnevalata anti-patriottica, mettendo manifesti per le strade che sottolineassero la performance doppia (di Cutrufo e del generale Antonino Torre, delegato del sindaco Alemanno alla Memoria, papalina evidentemente), compiendo insomma dei gesti pubblicamente riconoscibili. Mi pare che nulla di tutto questo sia stato fatto. E allora viene da pensare che nel nostro squagliato Paese tutto possa essere detto e anche fatto senza che vi siano conseguenze di sorta. Passano ventiquattr’ore e ogni cosa va in archivio: bugie, falsificazioni storiche, gaffes, insulti. Si è scusato il vice-sindaco Mauro Cutrufo? Il giorno dopo qualcosa ha farfugliato, come il generale implicato con lui a Porta Pia, autore di una ridicola intervista a Repubblica. Ma, per la verità, a livello istituzionale non gli è stato nemmeno chiesto di scusarsi pubblicamente per questa grottesca iniziativa che offende la storia d’Italia. Stavolta il papa non c’entrava per nulla. Ci mancherebbe. Anche perché, per fortuna, ci aveva pensato Paolo VI, pontefice illuminato, a far cessare le messe vaticane per gli Zuavi caduti dopo l’apertura della storica breccia. Venti in tutto, perché le truppe italiane aveva avuto l’ordine di non entrare in Roma «per forza d’armi», come scrisse Nino Bixio, ex garibaldino inquadrato nell’esercito. Quindi col minimo spargimento di sangue e senza far troppi danni con l’artiglieria. Eppure, ogni volta che c’è di mezzo la Chiesa, magari tirata dentro impropriamente da un politico (?) italiano per chissà quale zelo, ogni polemica si smorza e poi si spegne, perché anche a sinistra si ha una gran paura di passare per laici (laicisti poi è un’onta, anticlericali una vergogna senza fine). Di fatto, le proteste sono state poche e deboli. Da molti anni in Italia lo spirito laico è una flebile fiammella. Mai lo è stato però al pari di oggi. Poche settimane fa Luigi Manconi ha sottolineato come in Italia sia venuta meno una autorità morale di segno laico e come alla Chiesa, quindi, (anche a questa Chiesa che non brilla certo di grandi luci culturali) sia stata delegata quella tal autorità. Che essa tuttavia esercita spesso col cinismo della politica, favorendo un ceto dirigente individualista, edonista, consumista, che però si appresta a smantellare la scuola pubblica a favore di un riemergere delle scuole private, magari confessionali, che però cerca di ridurre l’area dei diritti delle donne e di limitare le conquiste di libertà degli anni Settanta. Nonostante due referendum abrogativi bocciati. Sembra di vivere, oggi, in un altro Paese rispetto a quello. Un Paese spaesato, alluvionato, sprofondato. Quando toccheremo il fondo? Già, ma dov’è finito il fondo?

domenica 28 settembre 2008

L'eterno ritorno del Papa Re

La Repubblica 28.9.08
L'eterno ritorno del Papa Re
di Filippo Ceccarelli

La Città Eterna è percorsa da brividi di restaurazione L´incidente del 20 settembre, quando in presenza del sindaco Alemanno sono stati commemorati i soldati pontifici caduti a Porta Pia, non è un fatto isolato Tutto un mondo di gruppuscoli clericali e antirisorgimentali è in agitazione. Il messaggio corre anche su Internet...
Ma Roma tutto tritura e tutti sbeffeggia Come il Belli, che definiva la nobiltà nera "illustrissima canaja"

«Roma è cristiana», e va bene. «Roma è sacra» si leggeva, già più impegnativamente, sugli striscioni del Centro Lepanto sceso in processione riparatoria contro il Gay Pride. «Roma Caput Mundi» campeggia sugli stendardi di un´organizzazione, sempre dell´estrema cattolica, che all´Esquilino si batte contro l´«invasione» cinese. «Roma non perit», cioè non muore, come scolpisce in latino agostiniano il gruppo tradizionalista Trifoglio, già noto per una serie di dieci manifesti, uno per ogni comandamento, coloratissima rassegna di ripristinato fondamentalismo sui muri della capitale.
E tutto questo si potrebbe liquidare come folklore o anacronistico fanatismo - magari sbagliando pure, perché in questo tempo è proprio l´eccesso che tende ad affermarsi catturando l´attenzione. Ma poi: quando il sindaco Alemanno, per nulla pentito dell´incidente di Porta Pia, come unico suo commento butta lì che «il Vaticano è il cuore di Roma, e guardando la storia tutto - (tutto?!) - ruota attorno a questa presenza», beh, un po´ viene anche da chiedersi se la commemorazione dei caduti dell´esercito pontificio il 20 settembre non sia stata il primo esperimento tecnico di Restaurazione capitolina. E se pure non lo è stato, già bastano la gaffe, la pecionata o il malinteso ad aggiornare la visione di quell´antica, singolare e rinomata entità (individui, gruppi, credenze e rappresentazioni) che mai come oggi, dopo parecchi decenni, si è legittimati a designare «Roma nera»: nella sua doppia accezione di trono e di altare, di Roma clericale, anti-risorgimentale e post-fascista.
Ora, è vero che storicamente, come ha sintetizzato lo studioso Alberto Melloni, «quasi tutte le destre a corto di idee indossano i paramenti». E in effetti, oltre che nelle riabilitazioni degli zuavi (per i quali il gruppo di Militia Christi ha richiesto l´immancabile lapide), la nuova temperie post-papalina pare cogliersi in un dispiego di sfarzo mediatico che all´insegna della liturgia e del suo evocatissimo mistero, esibisce sacri ornamenti, addobbi lussuosi, canti gregoriani, come pure stemmi di battaglia e nobiliari, simboli, aquile, spade.
Rialzano il capo gli ordini cavallereschi, con i loro mantelli e costumi da cerimonia. Rinasce la messa esclusiva, preannunciata con elegante cartoncino d´invito. Entra nel lessico giornalistico la categoria «catto-chic». L´impressione è che piano piano, colto il vento, tutto un mondo finora un po´ cupo, residuale e museale, intraveda di colpo la possibilità di scrollarsi di dosso polvere e muffa. E dunque: non più solo funzioni in suffragio dei caduti con la bandiera pontificia bucata dalle pallottole dei bersaglieri di Lamarmora sotto l´altare di San Lorenzo in Lucina. Il Concilio è ormai lontano e così, insieme alla recita del rosario e delle devozioni in latino, paiono riemergere dalle catacombe più o meno confessabili tentazioni teocratiche e indistinti indizi di neo-temporalismo.
Liberalizzato con il motu proprio l´antico rito romano, gli ex seguaci di Lefebvre si insediano stabilmente nella chiesa della Trinità dei Pellegrini. Da oltre un anno il Centro Lepanto ha rapporti oltreoceano, negli Usa; il suo fondatore e ideologo, il professor Roberto de Mattei, già sfortunato consigliere di un Fini sull´orlo del laicismo, è assiduo collaboratore dell´Osservatore Romano. Il gruppo di Alleanza cattolica, da cui proviene il sottosegretario all´Interno Alfredo Mantovano (An), scopre la funzione del marketing reclamizzandosi sul Tempo «l´impegno per il pensiero forte».
Sono ambienti non di rado contigui a quello di Alemanno. Altri lo sono di meno, in ogni caso brulica di micro-iniziative l´underground reazionario-confessionale, nelle sue varie gradazioni. Veglie, esercizi spirituali, corsi per predicatori. Nella basilica di San Camillo organizzano «guardie d´onore» al Sacro Cuore, ogni turno eseguito da una «falange»; mentre nella chiesa di San Benedetto in Piscinula, a Trastevere, gli «Araldi del Vangelo» indossano uniformi che ricordano quelle dei crociati, stivaloni compresi.
A cinquant´anni dalla morte di Pio XII, per favorirne la canonizzazione, si è formato il «Comitato Papa Pacelli»; tra i primi sostenitori, in ordine alfabetico, compaiono Giano Accame, Rosa Alberoni, Magdi Cristiano Allam, Giulio Andreotti. C´è anche il sito su Internet. A questo proposito, come documentato a suo tempo da Nicla Buonasorte nel suo prezioso Tra Roma e Lefebvre. Il tradizionalismo cattolico italiano e il Concilio Vaticano II (Studium, 2003), è sintomatico e insieme paradossale l´ardore con cui i più accaniti nemici della modernità si sono adeguati alla tecnologia. Ecco dunque litanie, salmodie e novene on line. Ecco l´mp3 dell´inno pontificio di Gounod: «Roma immortale, di martiri e di santi,/Roma immortale, accogli i nostri canti». O il revival dell´intransigentismo canzonettistico fine Ottocento: «Odiam la lurida pornografia/e la satanica filosofia/che fa gli uomini pari ai maiali/Siam clericali, siam clericali!» (www. centrostudifederici. org).
Lascia interdetti l´hard discount del cristianismo. Vecchie stampe di uniformi papaline; gallerie fotografiche di «corpi incorrotti» di santi (www. tradizione.biz); animazioni musicate tipo videogame del celebre dipinto del Veronese sulla battaglia di Lepanto (www.lepantofoundation.org); presentazione di video terrificanti contro occulte massonerie, perfidi giudaismi, poteri forti, preti modernizzanti che fanno il karaoke con i fedeli e altre diavolerie progressiste prodotti assemblando alla buona spezzoni di film in costume al suono dei Carmina Burana (www.salpan.org). Un immaginario infiammato di diavolacci, segreti, catastrofi - dall´Aids al tifone di New Orleans passando per il crollo della basilica di Assisi - offerto in chiave di castigo di Dio.
Che tutto questo sia ultraminoritario, oltre che scontatamente apocalittico, drasticamente maschile, rigidamente sessuofobico e non di rado pericolosamente xenofobo e razzista, è un fatto che non stupisce perché in fondo quel filone è sempre stato così. Una consolazione, semmai, è che oltre che minuscoli, i gruppetti dell´universo ultraconservatore sono a tal punto rissosi che di continuo si scambiano accuse di eresia, gnosticismo, nichilismo o intelligenza con il nemico.
E tuttavia la novità è che la rappresentazione di Roma nera oltrepassa oggi i confini dell´eccentricità per estendersi e riconoscersi in un´estetica, in un gusto, in una serie di occasioni assai più accettabili degli incubi sanfedisti. E allora pare di coglierla, questa Roma, nelle messe celebrate negli studi del Tg5; o ai cocktail per le presentazioni delle sacre fiction della Lux Vide bernabeiana; nelle aste di beneficenza con i vip; nei convegni sulla famiglia aperti dalla recita del Pater Noster e animati dai personaggi della tv. Fino alla moda di donare agli ecclesiastici capi d´abbigliamento, crocifissi d´oro o tempestati di gemme, così come di sfoggiare quelle sontuosissime crocette che l´obiettivo di Umberto Pizzi, nei «Cafonal» su Dagospia, immortala - «balconata mistica» - nelle scollature delle signore dell´aristocrazia «teo-glamour».
Perché poi Roma resta Roma: e tutto tritura, tutti sbeffeggia, tutto e tutti riesce a dissacrare, anche i nobili della Città Eterna prima ancora che chiudessero i loro palazzi in segno di lutto all´indomani dell´invasione piemontese nel 1870. I nobili: a tale «illustrissima canaja», «spedalone de bastardi», «cavajer del cazzo», «cani da macello» al servizio del pontefice, Giuseppe Gioachino Belli ha dedicato sonetti spaventosi. Lo stesso Pasolini, qualche secolo dopo, li sistemò con un fulminante epigramma: «Non siete mai esistiti, vecchi pecoroni papalini:/ ora un po´ esistete perché un po´ esiste Pasolini».
Acqua passata, sotto i ponti del Tevere. È pur vero che la figura più rimarchevole di quel mondo, Elvina Pallavicini, imperiosa e imprevedibile sulla sua sedia a rotelle, se n´è andata ormai da tempo. I nobili che restano, il principe Ruspoli Zapata, che si presenta invano a tutte le elezioni, o la principessa Borghese, che per l´amicizia con il giro stretto della Santa Sede Roberto D´Agostino ha ribattezzato «l´Intima di Carinzia e di Baviera», ma poi si è lasciata conquistare dall´Udc di Pierfurby Casini, funzionano appena nei talk-show. E pur con tutto il rispetto e la simpatia, a fatica, insieme con gli altri epigoni dei Colonna, Massimo, Orsini, Torlonia, Chigi, Boncompagni, potrebbero rientrare negli schemi entro cui un autentico maestro del pensiero controrivoluzionario come Plinio Correa de Oliveira li comprese nel saggio Nobiltà ed elites tradizionali analoghe nelle allocuzioni di Pio XII al patriziato ed alla nobiltà romana (Marzorati, 1992).
Così è altrove che occorre guardare per cogliere il senso di una possibile restaurazione del potere e dell´assolutismo temporale alla luce del nuovo secolo e del pontificato di Benedetto XVI. Per il momento il Papa Re rimane nel titolo di un film di Gigi Magni, o nelle insegne di un ristorantino sulla Lungaretta. Però, a farci caso, aumenta di giorno in giorno il numero di quelli che come ha fatto notare su MicroMega un´osservatrice di altra spiritualità come Mariella Gramaglia, comunque appaiono ben disposti ad «attaccarsi alla mantella bianca». Vedi il futuro ministro Bondi all´Angelus di piazza San Pietro, con un´immaginetta in mano; vedi il senatore Ciarrapico che rievoca i decreti del Sant´Uffizio; o l´onorevole Renato Farina che dopo le elezioni sostiene l´esistenza di un «fattore P», come Papa: «Chi ha provato a morderlo si è perduto nella nebbia del Niente».
Un´umanità composita e apparentemente inconciliabile che da Gianni Letta, baciato dalla nomina a Gentiluomo di Sua Santità, arriva a Borghezio, presente fra i neonazisti di Colonia con quella che lui stesso ha definito «l´ala ratzingeriana della Lega». Tutto, insomma, e il contrario di tutto, come capita sempre più spesso nella Città Eterna in questo tempo di ritorni in avanti e di futuro remoto.

giovedì 25 settembre 2008

Laicità-20 settembre: oggi come ieri NO a chi fa del proibizionismo la propria bandiera. Ai clericali l’11 febbraio,

dal sito radicali.it
Laicità-20 settembre: oggi come ieri NO a chi fa del proibizionismo la propria bandiera. Ai clericali l’11 febbraio, a noi radicali laici e liberali il 20 settembre

di Maria Antonietta Farina Coscioni e Maurizio Turco

Quelli che seguono sono gli interventi dei parlamentari radicali Maria Antonietta Farina Coscioni e Maurizio Turco nella seduta del 23 settembre scorso.

Maria Antonietta Farina Coscioni: Signor Presidente, intervengo sulla mancata celebrazione del 20 settembre. I colleghi potrebbero chiedersi perché anche quest'anno, come ogni anno, i radicali hanno celebrato il 20 settembre, hanno celebrato la breccia di Porta Pia; potrebbero chiedersi se non si rischi di fare di questa celebrazione un rituale stanco, un ripetitivo appuntamento. Non è così, evidentemente. Se tutto si risolvesse nel deporre una corona sarebbe ben poca e misera cosa.


Il 20 settembre è una data importante da ricordare e il silenzio delle istituzioni è assordante. Vorremmo che fosse un giorno di festa perché segna la fine del potere temporale della Chiesa cattolica, e di questo dovrebbe felicitarsi per prima la Chiesa stessa. Quando diciamo che il 20 settembre deve diventare giorno di festa è soprattutto per ribadire il nostro impegno contro le risorgenti tentazioni di ogni forma di integralismo di cui quotidianamente possiamo scorgere i segni e le manifestazioni.

Noi abbiamo il dovere di non lasciarci deprimere dalla miseria che è un po' il segno dei tempi che viviamo. L'anti-Risorgimento, per cui tanti lavorano, non deve prevalere. Diciamo basta a quanti utilizzano la religione come strumento delle loro combinazioni politiche; troveranno in noi, come sempre, una irriducibile resistenza. Ribadiamo la consapevolezza che se da una parte una chiesa non può essere assimilata ad uno dei corpi dello Stato, lo Stato ha il diritto-dovere di tutelare l'assoluta aconfessionalità dei suoi organi.

La nostra posizione è per dire «no» al programma di chi fa del proibizionismo la propria bandiera; il proibizionismo su tutto, si tratti di libertà di coscienza, di conoscenza, di libertà della ricerca, di rispettare i diritti e la volontà del malato, delle donne e degli uomini che siamo. È impegno e lotta alle meschine furberie tattiche che ci hanno regalato leggi liberticide ed altre ce ne vogliono imporre. Quel cammino che 138 anni fa ci ha portato al trionfo della breccia di Porta Pia è tutt'altro che concluso (Applausi di deputati del gruppo Partito Democratico).



Maurizio Turco: Signor Presidente, vorrei ringraziare i colleghi che già stamattina sono intervenuti sulla vicenda della celebrazione del 20 settembre: il collega Mario Pepe del Popolo della Libertà, il collega Giachetti del Partito Democratico e per ultima la collega Farina Coscioni dei radicali. Noi da radicali riteniamo che ci sia un grosso equivoco.

Molto probabilmente è meglio che le celebrazioni del comune di Roma non ci siano più se devono continuare ad essere l'equivoco per il quale il 20 settembre è una piccola cosa nella storia non solo della Repubblica italiana, non solo dell'unità d'Italia, ma della Chiesa cattolica.
È strano il silenzio dei cattolici liberali: evidentemente è un settore che si è esaurito. Chi oggi, in questo Parlamento, tra coloro che antepongono il loro essere cattolico al loro essere deputato, avrebbe il coraggio di un Alessandro Manzoni? Ma, probabilmente, chi avrebbe oggi il coraggio di un Paolo VI che disse che quella data, il 20 settembre 1870, che segnò la fine del potere temporale della Chiesa, fu provvidenziale per la Chiesa stessa? Chi oggi in quest'Aula avrebbe il coraggio di chiedere per questo Paese delle leggi di spoliazione, come quelle che vennero varate in Francia nel 1905 e che sono state giudicate provvidenziali dal cardinale Ratzinger per il bene della Chiesa?

Vi è un equivoco di fondo. Noi continuiamo, anzi, voi continuate a celebrare l'11 febbraio, la data di quel Concordato con l'uomo della provvidenza, che per Pio IX non aveva quelle brutte influenze liberali che fino a quel momento non avevano permesso, con i Governi liberali, di poter sottoscrivere un Concordato. Finalmente arrivò l'uomo della provvidenza che mise a tacere i fermenti di libertà che erano presenti in quel momento anche nella Chiesa cattolica e che furono messi a tacere allora, e anche successivamente, quando bisognava approvare in concorso tra i reazionari dell'una e dell'altra parte l'articolo 7 del Concordato. Non sarà qua il caso oggi della rievocazione storica del De Gasperi, uomo di Stato e di Chiesa, non di gerarchia vaticana, dell'Aldo Moro, uomo di Stato e di Chiesa, non della gerarchia vaticana.

Ebbene, forse questa storia andrebbe almeno studiata, letta, insegnata; invece, l'unica cosa che riusciamo ad avere da questo Paese è che la storia venga censurata. Noi crediamo che in questo modo si faccia un danno alla democrazia, allo Stato di diritto, ma anche alla libertà di coscienza e di religione, di pensiero e di azione. Questi saranno costi che qualcuno dovrà pagare; noi riteniamo che sicuramente non potranno essere accollati alla libertà dei cittadini della Repubblica italiana. La ringrazio, signor Presidente.

martedì 23 settembre 2008

Porta Pia, Paolo VI più laico di Alemanno

Porta Pia, Paolo VI più laico di Alemanno

L'Unità on line del 22 settembre 2008

di Vittorio Emiliani
Lì per lì, sabato, guardando il Tg regionale del Lazio, mi sono un po’ stupito vedendo (e non si poteva non vederlo) il possente doppiopetto del vice-sindaco di Roma, Mauro Cutrufo, cinto di fascia tricolore, davanti al monumento che ricorda la storica Breccia di Porta Pia. Sta’ a vedere - mi son detto - che la giunta Alemanno è più sollecita delle amministrazioni di centrosinistra nel ricordare quella data fondamentale. Poi ho capito che, al contrario, Cutrufo celebrava i mercenari pontifici deceduti nell’ultima difesa del papa-re, insomma gli Zuavi.

E mi è tornato alla mente che Paolo VI, in ossequio alle direttive del Concilio Vaticano II sull’abbandono da parte della Chiesa di ogni potere temporale, decise motu proprio di non far più celebrare la tradizionale Messa in ricordo di quei caduti contro i bersaglieri del generale Lamarmora. «Lì per lì», commentò Giulio Andreotti ad un dibattito alla Libreria Croce, «ci rimasero un po’ male i discendenti, le famiglie degli Zuavi, che, se ricordo bene, pubblicavano anche un loro bollettino… ».

Mauro Cutrufo, evidentemente col beneplacito del sindaco Gianni Alemanno, indossata la fascia tricolore, italiana, ha assistito impavido alla lettura (quindi una cerimonia preparata) dei nomi e cognomi dei mercenari papalini caduti a Porta Pia, effettuata dal generale Antonino Torre dei granatieri, «delegato alla memoria» del sindaco Alemanno.

Il quale evidentemente alla «memoria» mussoliniana aggiunge ora quella papalina. Così sindaco e vice-sindaco hanno fatto compiere al Comune di Roma un balzo all’indietro di quasi centoquarant’anni ed hanno offeso in un colpo solo i giovani e i meno giovani che caddero, non soltanto a Porta Pia, dove le perdite furono poche per la flebile resistenza dei papalini, ma nella difesa della Repubblica Romana del 1849 (dove morì, fra gli altri, Goffredo Mameli), hanno offeso il romanissimo Ciceruacchio e il suo figliolo quattordicenne, catturati e messi al muro dagli austriaci dopo lo scioglimento della colonna garibaldina, hanno offeso i perugini insorti trucidati dai pontifici e le camicie rosse che, una ventina di anni dopo, furono massacrate a Monterotondo e a Mentana dalla fucileria francese.

Ha ben ragione lo storico Giovanni Sabbatucci a parlare di «aria malsana che arriva dalla celebrazione della Breccia di Porta Pia a rovescio», di provare «brividi» per come viene ormai trattata, pubblicamente, la storia d’Italia. Immaginate se Letizia Moratti, domani, celebrasse non gli eroi delle Cinque Giornate di Milano, non Carlo Cattaneo, ma il generale Radetsky e le sue truppe che repressero nel sangue quei moti unitari (oltre mille furono le condanne a morte, anche se molte commutate in durissimi ergastoli).

Del resto, grottescamente, Bossi e i suoi intonano «Va’ pensiero» non sapendo che Giuseppe Verdi, proprio mentre componeva «Nabucco», scriveva ad un amico: l’Italia «dovrà essere libera, una e repubblicana». «Una», capito?

Quello che più colpisce è l’incosciente disinvoltura con la quale si ribaltano i fatti che portarono alla faticosa Unità del Paese.

Probabilmente il vice-sindaco Mauro Cutrufo voleva, e l’ha avuto, un titolo sui giornali o un servizio sul Telegiornale del Lazio, e per questo ha indossato la fascia tricolore per «celebrare» gli Zuavi pontifici.

Bene, la prossima volta indossi una fascia bianca e gialla, quella del papa-re, e subito dopo magari, per ragioni di buon gusto, vada a dimettersi dalla carica.

Chissà che non lo reclutino fra le guardie svizzere. Sempre che superi la visita attitudinale.

Cutrufo torna sui bersaglieri:"Ruolo eroico" ma Pannella accusa:"E' clerico-fascismo"

Cutrufo torna sui bersaglieri:"Ruolo eroico" ma Pannella accusa:"E' clerico-fascismo"

Corriere della Sera - ed. Roma del 22 settembre 2008, pag. 5

di Clarida Salvatori

Accusatori e accusati non smettono di lanciarsi frecciate. E così, le polemiche sulla mancata commemorazione dei bersaglieri nell’anniversario della breccia di Porta Pia, continuano. L’imputato principale, il vicesindaco Mauro Cutrufo, si difende e smentisce che «il ruolo eroico dei bersaglieri nell’epica impresa nel 1870 sia stato sottovalutato» nelle celebrazioni del 20 settembre. Prende posizione l’Associazione nazionale bersaglieri che arriva a negare l’accaduto, da più parti invece confermato. «Non è vero che non sono stati ricordati i bersaglieri - afferma il presidente, generale Benito Pochesci - Non siamo offesi dalle parole di Antonino Torre (delegato alla Memoria del Campidoglio, ndr), ma felici e onorati che sia intervenuta una persona così capace».



Prova a mettere tutto a tacere il consigliere regionale Donato Robilotta (Sr-Pdl). «Sarebbe il caso di finirla con le polemiche strumentali. Il generale Torre ha voluto celebrare i morti di Porta Pia, ma so per certo che il sindaco Alemanno è legato ai valori della patria e della bandiera». Per il consigliere Paolo Masini il sindaco è «un elefante in una cristalleria che rischia un clima di non dialogo con la città». E non ne vuole sapere di «deporre le armi» Marco Pannella. «Il comune di Roma ha compiuto atti che a mio avviso non sono legittimi. Non era mai successo, dal 1871 ad oggi, che il comune celebrasse la breccia ricordando gli zuavi pontifici. Mai. E che senso ha, vicesindaco Cutrufo, dire oggi che volevi onorare anche i bersaglieri? Non regge. Alemanno, tu assumiti le tue responsabilità. Questo è clerico-fascismo da epigoni».

«Dispute fuori luogo, ma non torniamo al Papa re»

«Dispute fuori luogo, ma non torniamo al Papa re»

Il Messaggero del 23 settembre 2008, pag. 34

di Claudio Marincola

Titolo: "Arrivano i bersaglieri". Il film uscì nelle sale nel 1980, ambientato nei giorni che. seguirono la conquista di Roma. Ideatore, sceneggiatore e regista Luigi Magni. Che oggi ha 80 anni e può permettersi di guardare alle attuali vicende politiche con un certo distacco. Travia: Ugo Tognazzi, principe della nobiltà nera papalina, accoglie in casa don Alfonso, un soldato mercenario zuavo (Vittorio Mezzogiorno), rimasto ferito a Porta Pia. It principe scopre che suo figlio bersagliere è morto ed è stato ucciso proprio dal suo ospite, il quale, nel frattempo. si è innamorato di sua figlia (Olimpia). Cast che oggi si direbbe bipartisan. Ombretta Colli. l’ex presidente forzista della Provincia di Milano nella parte della moglie di Tognazzi. Pippo Franco nella parte di un prete, un uomo di religione molto lontano dalle virtù incarnate dal popolo sovrano, esaltate in quasi tutti i film di Luigi Magni.



Riavvolgiamo la cassetta. Ieri papalini e bersaglieri. Oggi Pannella e Cutrufo.

«La breccia di Porta Pia fu un scossa molto forte, insopportabile per il potere temporale di allora. Non dimentichiamo che all’epoca il successore di Pietro era un certo Papa re. E la capitale "provvisoria" del Regno d’Italia era Firenze. Io cercai di rappresentare questo momento storico».



Visto il risultato, le polemiche che ogni volta queste celebrazioni scatenano, sospendiamole. Riprenderanno appena possibile. «Si può capire che qualcuno voglia festeggiare ancora il 20 settembre del 1870. È da romantici, inalo capisco. Anche se io personalmente guarderei avanti. Capisco molto meno chi vorrebbe tornare indietro».



Come giudica le dispute di questi giorni?

«Mi sembrano fuori luogo, non hanno senso. Ci sono cose che vengono spazzate via dalla storia e tra queste ci metto il potere temporale. 1 mazziniani, già all’epoca, lo definivano "la vergogna civile d’Europa". Solo a nominarlo il potere temporale mi sembra un errore».



Polemiche strumentali, sostiene qualcuno.

«Le polemiche ci furono anche ai tempi del mio film».



Da parte di chi, gli zuavi?

«No, veramente si risentirono i benpensanti. Non apprezzarono il modo in cui venne raccontata la Roma papalina. Eppure quella chiesa mica c’andava leggero. C’era la ghigliottina, c’era il rogo per chi peccava contro-natura. E la carne umana bruciata, lei forse non lo sa, ma ha un odore tremendo. Per attenuarlo ci si aggiungevano erbe aromatiche ma soprattutto i finocchi. Da qui il termine che ancora oggi si usa a Roma. E noi, scusi, vogliamo forse fare la fine dei finocchi o rimettere la ghigliottina a piazza del Popolo?».

XX settembre, radicali: una proposta di legge e la bandiera dell'Europa a Porta Pia

XX settembre, radicali: una proposta di legge e la bandiera dell'Europa a Porta Pia

Roma, 22 settembre 2008

• da note di agenzia lette a Radio Radicale

Si è conclusa con l'apposizione della bandiera dell'Europa sul muro di porta Pia la celebrazione per l'anniversario della 'breccia' promossa dai deputati Maria Antonietta Farina Coscioni (Radicale-Pd) e Mario Pepe (Pdl) per far conoscere la proposta di legge da loro presentata per istituire come festività nazionale il 20 settembre. Nel corso della manifestazione sono stati letti i nomi dei 48 bersaglieri caduti il 20 settembre 1870 come risposta alla lettura dei 19 nomi dei soldati papalini fatta questa mattina da un rappresentante del Comune di Roma. Al termine della celebrazione è stata apposta una bandiera dell'Europa per ricordare i valori liberali e di laicità che la stessa Europa chiede oggi all'Italia. Alla manifestazione hanno aderito alcune associazioni tra le quali L'Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti (Uaar), Certi Diritti-Radicali Roma. Durante la manifestazione hanno preso la parola i parlamentari presenti, tra gli altri, il Radicale Maurizio Turco che ha ricordato l' importanza dei valori delle democrazie riguardo la libertà religiosa contro ogni forma di integralismo e teocrazia.
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Lo scopo era celebrare "davvero" il 20 Settembre, e denunciare l'oblio che su questa data si sta depositando: così, dopo la manifestazione ufficiale del Comune di Roma, a ricordare la presa di Porta Pia questo pomeriggio lungo Corso Italia, a Roma, c'erano, i Radicali, i rappresentanti dell'Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti, i deputati Radicali, ma eletti nelle file del Pd, Maria Antonietta Coscioni e Mauro Turco, insieme al deputato del Pdl Mario Pepe.Ed è proprio firmata insieme da Pepe e dalla Coscioni la proposta di legge depositata in Parlamento perché il 20 Settembre torni ad essere una festa nazionale e non, come ha detto Pepe, "un logoro rito". "Insieme agli amici Radicali - ha spiegato il deputato forzista parlando a qualche decina di persone - vogliamo lavorare per recuperare il 20 settembre, quando iniziò un epoca di fede nella scienza, una fede che va risvegliata". Ha applaudito Pepe il discorso della Coscioni che con forza ha chiesto di dire no a chi fa del proibizionismo la propria bandiera e di dire no ad ogni forma di dogmatismo e pregiudizio, perché bisogna difendersi da chi vuole legiferare in questo senso, così come è accaduto con la legge 40 sulla fecondazione assistita". Ha applaudito anche il discorso, fortemente anticlericale e di condanna verso il Vaticano e verso Ratzinger, di Maurizio Turco."Avrò un incontro con il presidente della commissione Affari Costituzionali - ha annunciato l'esponente del Pdl, che nella scorsa legislatura presentò una identica proposta insieme al deputato Grillini - perché almeno la proposta di legge venga messa all'ordine del giorno. Poi - ha ammesso - ognuno voterà come crede. Nel nostro partito ci sono molti cattolici, e poi da noi ogni cosa che ha che fare con l'unità d'Italia incontra il freno della Lega, così come dall'altra parte la presenza dei cattolici crea altrettanti, e forse più, problemi". E che quello del 20 settembre sia una ricorrenza poco, o diversamente, sentita lo stanno a dimostrare anche le corone di alloro deposte ai piedi della lapide: a quelle di Comune e Provincia di Roma, e della Regione Lazio, si sono affiancate quella degli attivisti di Militia Christi, che oggi hanno ricordato "i giovani accorsi da tutto il mondo per difendere il Papa", e ben tre corone massoniche, con la fascia del Grand Oriente d'Italia. In mattinata poi, hanno denunciato i Radicali, durante "la celebrazione ufficiale sono stati ricordati solo i soldati papalini caduti durante gli scontri con i Bersaglieri, dando lettura dei loro nomi, e non di quelli dei bersaglieri caduti". "D'altro canto - ha ironizzato amaro Turco - perché i morti di Salò sì e quelli del Papa no?".
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Il 20 settembre 1870, la presa di Roma attraverso la breccia di Porta Pia e la fine del potere temporale della Chiesa, è stato ricordato dai Radicali con un convegno internazionale a Londra e una manifestazione a Roma, proprio dove i bersaglieri italiani fecero il loro ingresso nella città. Alla due giorni nella capitale inglese hanno partecipato politici e storici e i leader Radicali Marco Pannella e Emma Bonino. "Da quella breccia - ha detto Pannella al Tg3 - è passata una storia, chiudendola come si sta facendo ne passa un'altra ed è l'anti-storia della libertà e della vera religiosità".Per Bonino esiste "una radice profondamente laica e risorgimentale, che nel nostro paese si tende a dimenticare forse perché è così scomoda, perché portatrice di temi e di soluzioni molto più avanzate di quanto non si discuta" oggi in Italia.

Porta Pia, ricordo con rissa tra laici e papalini

ROMA - Porta Pia, ricordo con rissa tra laici e papalini
RORY CAPPELLI
DOMENICA, 21 SETTEMBRE 2008 LA REPUBBLICA - Roma

Radicali contro il Comune:"Esalta i mercenari di Pio IX, non un cenno ai bersaglieri"

«Alessandro Piccadori, di Rieti, anni 23, tenente dei Dragoni. Enrico Caporilli, maresciallo d´artiglieria. Mariasco Taliani, di Cingoli, anni 29, artigliere. Giuseppe Valenti, di Fermentino, anni 22, artigliere. Emilio Duchet, francese, anni 24, sergente degli Zuavi». Iniziano così le commemorazioni del 20 settembre, la breccia di Porta Pia, con Antonino Torre - consigliere comunale nonché delegato per il sindaco alla Memoria - che legge i 16 nomi dei caduti dell´esercito pontificio in quella lontana battaglia. Il tenente dei Bersaglieri Flumeri dà l´ordine di attenti ai tanti fanti piumati presenti che scattano all´unisono. Militia Christi agita lo striscione con scritto "Onore ai caduti pontifici". I massoni sorridono. I radicali si agitano, partono fischi. Poi intervengono il vicesindaco Mauro Cutrufo, l´assessore alle Politiche Culturali della Provincia Cecilia d´Elia e altri ancora. Tutti qui per ricordare quella mattina del 20 settembre 1840, quando, intorno alle 10, i soldati del nuovo Regno d´Italia - bersaglieri del 34° battaglione e fanti del 39° - comandati dal generale Cadorna, sfondano a cannonate le mura ed entrano a Roma attraverso una breccia, la breccia di Porta Pia: nello scontro muoiono 49 soldati italiani e 16 pontifici. Una data assurta a simbolo e, almeno fino al 1930, anche a festa nazionale (fu soppressa dal fascismo, che l´anno prima aveva anche firmato i Patti Lateranensi): segna infatti la fine del potere temporale della chiesa cattolica su Roma, che diventa capitale del nuovo regno, e l´inizio della Questione Romana.
Una festa della laicità. Almeno così la intendono i radicali e l´Uaar (Unione degli atei e degli agnostici razionalisti, che ha tra i suoi presidenti onorari Margherita Hack e Piergiorgio Odifreddi). Che alla scelta del delegato alla memoria Torre di leggere i nomi dei soldati pontifici commentano con un secco: «È in corso un revisionismo fortissimo. Cosa c´entra leggere i nomi dei soldati pontifici nella giornata che commemora la fine dello strapotere papalino?» si domanda il segretario dell´Uaar Raffaele Carcano. «Se Alemanno è caduto sulla giornata della memoria l´8 settembre forse è perché si affida a personaggi di questo tipo».
«Io sono consigliere comunale, certo» spiega il delegato alla memoria Antonino Torre. «Ma sono anche un militare. E ho parlato da militare, da generale della riserva dell´esercito italiano. Chi muore per una bandiera, per un´ideale, ha il diritto di essere commemorato, da qualunque parte abbia combattuto. Ho voluto rendere onore a caduti mai ricordati. Il resto è una strumentalizzazione politica. E poi» continua Torre «sono riuscito a trovare nell´archivio del Vaticano i nomi di questi ragazzi, rimasti fino ad oggi sconosciuti. Ho scoperto anche dove furono sepolti, di nascosto: a Santo Spirito in Sassia».
Polemiche anche con l´assessore D´Elia, colpevole, secondo Carcano, di non aver detto niente in merito a questo intervento. «Non ho nessuna intenzione di commentare» è la replica di Cecilia D´Elia. «Credo che sia sbagliato ricordare un episodio militare senza dargli il valore che ha nella vicenda civile e politica di questo paese e non solo di questo paese. Quello che succede a Roma va sempre oltre i confini di Roma. Non a caso il Risorgimento volle che la città fosse capitale d´Italia».

Porta Pia e il senso del ridicolo

Corriere della Sera 22.9.08
Revisioni storiche
Porta Pia e il senso del ridicolo
di Paolo Franchi

Può essere? A prima vista almeno no, non può capitare che il generale dei Granatieri Antonio Torre, commemorando il 138˚anniversario della Breccia di Porta Pia, taccia sui 49 caduti italiani.
E che lo stesso generale legga invece uno ad uno i nomi dei 19 caduti papalini. Però è successo.
E' successo pure, se è per questo, che il vicesindaco Antonio Cutrufo, che rappresentava alla cerimonia il sindaco di Roma Gianni Alemanno, non abbia provato a porre riparo alla dimenticanza, chiamiamola così, del generale, probabilmente perché nemmeno se ne è accorto; e che il succitato Alemanno, almeno a stare alle sue dichiarazioni, abbia fatto mostra di non essersi accorto neanche lui della gaffe. Sempre che soltanto di una gaffe si sia trattato, e che anche questa vicenda, in sé alquanto grottesca, non ci segnali, al pari di varie altre succedutesi nelle ultime settimane, qualcosa di più complesso e di più preoccupante. Sembra pensarla così Giovanni Sabbatucci, intervistato ieri dal Corriere, che si chiede, ironicamente ma non troppo, se, andando avanti di questo passo, d'ora in avanti il 4 novembre saranno ricordati i caduti delle truppe austroungariche a Vittorio Veneto. E non è il primo a porsi domande di questo tipo. Già nei giorni scorsi, all'indomani delle improvvide affermazioni del sindaco Alemanno e del ministro La Russa sul fascismo male più o meno assoluto e sull'amor di patria dei ragazzi di Salò, Emilio Gentile si era interrogato (anche lui facendo ricorso, si capisce, all'ironia) su che cosa possiamo aspettarci, di qui a poco, dalle celebrazioni del centocinquantesimo anniversario dell'Unità d'Italia: un sofferto omaggio a Metternich e Cecco Beppe, magari?
Sabbatucci e Gentile sono due storici di vaglia, e non fanno parte in alcun modo delle schiere degli indignati in servizio permanente effettivo, sempre pronti a lanciare denunce accorate contro gli infami disegni di chi, si dice, vorrebbe procedere a buttare giù tutto, oggi la Resistenza, domani il Risorgimento, dopodomani chissà. Quello che ci segnalano è però forse più preoccupante di un'offensiva politica e ideologica, o di un consapevole tentativo di spingere il revisionismo storico verso lidi fino a qualche tempo fa letteralmente inimmaginabili, sottoponendo ad aperta e radicale contestazione certezze più o meno consolidate e miti fondativi della storia nazionale. Per restare al 20 settembre, l'ultimo caso in ordine di tempo: forse gli ultratradizionalisti di Militia Christi, gli unici ad esultare, sarebbero ben contenti anche della restaurazione del potere temporale dei papi, e di certo non escludono che, con l'aria che tira, la questione possa in qualche modo tornare di attualità. Ma tenderemmo ad escludere che il generale, il vicesindaco e il sindaco di Roma siano dei nostalgici del Papa Re. E' molto più probabile, piuttosto, che siano ad un tempo vittime e propagatori di una nuova, e diffusa, malattia nazionale, il cui sintomo più evidente è la caduta del senso del ridicolo. Una caduta così vistosa che pochi si sorprendono se agli aspiranti infermieri specializzati, come ci ha ricordato sabato sul Corriere Paolo Macrì, viene chiesto di pronunciarsi in sede di esame sulla tesi di Alberto Asor Rosa, secondo il quale il fascismo sarebbe stata cosa ben più alta e nobile del berlusconismo; e nessuno si meraviglierebbe troppo se qualcuno saltasse su a segnalarci la buona fede degli zuavi di Pio IX che restarono fedeli a costo della vita alla consegna pur sapendo che la causa dello Stato pontificio era votato alla sconfitta.
Forse (forse) il generale, il vicesindaco e, seppure in forma indiretta, il sindaco di Roma hanno semplicemente creduto, celebrando i soldati del Papa nel giorno della Breccia di Porta Pia, di interpretare lo spirito di marmellata dei tempi. Secondo il quale, essendosi fatto tutto assai vago e incerto, il modo migliore di cavarsela è quello di rendere omaggio alle buone ragioni che, c'è da giurarlo, dovevano pure albergare in fondo al cuore di ciascuno, quali che fossero la causa e la bandiera per cui militava. Forse (forse) il generale, il vicesindaco e, seppure in forma indiretta, il sindaco di Roma hanno semplicemente pensato di uniformarsi alla logica che sommariamente definiamo bipartisan, estendendola dai rapporti politici tra maggioranza e opposizione sui grandi problemi nazionali aperti alla storia patria, questione romana compresa; e solo per eccesso di zelo bipartisan si sono ricordati degli zuavi, ma hanno dimenticato i bersaglieri e i fanti. Capita. Può capitare. Non è il caso di farne un dramma o, Dio ci scampi, di chiedere, a mo' di risarcimento, che il 20 settembre torni ad essere festa nazionale: in fondo 138 anni fa si è solo realizzato il sogno di generazioni e generazioni di italiani. Ma non è nemmeno il caso di dimenticare che di ridicolo si può anche, e ingloriosamente, morire.

domenica 21 settembre 2008

Il XX settembre sarà celebrato a Londra proprio mentre l’Italia “non conta più niente”

Il XX settembre sarà celebrato a Londra proprio mentre l’Italia “non conta più niente”

Europa del 19 settembre 2008, pag. 8

di Federico Orlando

Cara Europa, conservo a casa un libro di scuola media col famoso (per me) quadro di Cammarana che raffigura l’irruzione dei bersaglieri di Cadorna nella Breccia di Porta Pia scavata dai cannoni di Cialdini il 20 settembre 1870. Quel giorno, caduto Napoleone III che proteggeva il potere temporale, l’Italia potè completare la sua unità con Roma capitale. Poi fascismo e Dc cancellarono non solo Cammarata, ma anche la separazione fra stato e chiesa.
Ora la Lega cancella anche l’Italia.
Mi chiedo perché mai Pannella abbia deciso di ricordare a Londra, oggi o domani, questa data che in Italia nessuno ricorda. Maria Pia Gelmini, Roma


Risponde Federico Orlando: Cara Maria Pia (uso confidenzialmente il nome, lei mi capirà).
Preso dalle cronache, conosco poco delle ragioni per cui il mio vecchio amico Pannella e la senatrice Bonino abbiano deciso di celebrare il XX settembre in un club liberale di Londra o in una sede parlamentare di quel paese, fra le memorie anglo-italiane di Acton e Nathan. Dell’iniziativa radicale mi interessa non solo il dibattito su un avvenimento “europeo”, come lo ha definito lo storico Giuseppe Galasso a radio radicale, ma il momento particolare in cui si svolge. Proprio ieri mi ha colpito e avvilito una dichiarazione di Carlo De Benedetti, che mi ha reso esplicito un sospetto che stentavo a confessarmi: «Non contiamo più nulla. L’Italia è un paese che è stato cancellato dagli schermi radar del mondo. Con l’eccezione del nostro passato, se arrivasse uno tsunami e non ci fosse più l’Italia, nessuno se ne accorgerebbe. Recentemente sono stato negli Stati Uniti e per la prima volta da anni nessuno mi ha chiesto nulla di cosa accade nel nostro paese». Capito, Maria Pia? Con l’eccezione del nostro passato (anche se le stesse visite ai musei sono dimezzate nell’ultimo anno), non esistiamo più per il mondo: siamo tornati esattamente «l’Italia espressione geografica», quale eravamo considerati nel mondo prima del risorgimento liberale che unificò il paese, abolì gli staterelli padani e borbonici e il potere temporale dei papi e fece dell’“Italietta” un’ espressione di pensiero politico. È durato poco, lo so. Il fascismo, per lucrare il sostegno pontificio che prima del XX settembre aveva lucrato Napoleone III, si mise sotto la mantella del papa: cosa che non impedì né a Napoleone III di finire a Sedan né a Mussolini di finire a Salò. Poi venne la democrazia cristiana dove, come scriveva il mio vecchio direttore Spadolini, «morto De Gasperi, la sua eredità fu dispersa e dilapidata nella guerra fratricida di tutti contro tutti nella Dc» (Il Tevere più largo, Longanesi 1970). Quel fratricidio ci ha portato, via tangentopoli, all’Italia barzellettistica di Berlusconi e delle folle che lo applaudono, come a Napoli applaudono le marionetta di Pulcinella quando bastona un’altra marionetta. È l’angoscia di questo presente che mi fa attaccare alla ciambella che De Benedetti non nega ai naufraghi di un’Italia che poteva essere e non è stata, la ciambella del «nostro passato».
Porta Pia è, dopo la rivoluzione francese di ottanta anni prima, la pagina più importante della storia d’Europa.
Logico e forse utile che Pannella e Bonino vadano a ricordarla a Londra, nell’Europa che non soffre tsunami.

Porta Pia, è polemica sulle commemorazion

Il Messaggero, 21 settembre 2008
Porta Pia, è polemica sulle commemorazioni
I radicali: «Una farsa ricordare i papalini»
La manifestazione dei radicali in ricordo di Porta Pia

ROMA (20 settembre) - E' polemica sulla commemorazione per il 138° anniversario della breccia di Porta Pia, la data che segna la presa di Roma e la fine del potere temporale dei papi. Il vice sindaco di Roma Mauro Cutrufo, nella tradizionale commemorazione del Comune, ha sottolineato che «Roma aspetta la sua legge da quando nel 1871 è diventata capitale d'Italia. Se il Governo vuole, Roma sarà Capitale ex 114 ed i romani saranno finalmente governati con pienezza di capacità e poteri entro la fine di questo anno». La commemorazione è stata contestata dai Radicali, che l'hanno definita «una farsa» perché «sono stati ricordati i soldati papalini caduti durante gli scontri e non i bersaglieri».

I radicali. Secondo i radicali i rappresentanti del Comune che hanno preso la parola, hanno ricordato i soldati papalini caduti durante gli scontri con i Bersaglieri, dando lettura dei loro nomi (e non di quelli dei bersaglieri caduti). Successivamente - affermano - è stata addirittura ricordata la figura di Paolo VI. Per i Radicali invece «nessuno dei rappresentanti delle istituzioni presenti ha contestato tali affermazioni, ad eccezione di alcuni cittadini che hanno fischiato gli oratori. Appena gli oratori hanno concluso gli interventi è stato tolto l'audio e i rappresentanti delle Associazioni che non sono potuti intervenire». Per le associazioni Uaar di Roma, Certi Diritti e Fondazione Massimo Consoli «prosegue così dopo l'8 settembre, l'opera di revisionismo in senso antidemocratico ed anti-liberale».

Il discorso del vice sindaco. Cutrufo, incaricato dal sindaco Gianni Alemanno di coordinare il lavoro per l'elaborazione della legge ordinaria su Roma Capitale ha ricordato l'articolo 114, comma 3, della Costituzione: "Roma è la Capitale della Repubblica, e la legge dello Stato disciplina il suo ordinamento". «Mi sono sentito in imbarazzo - ha detto Cutrufo nel suo intervento - a ricordare che nel 1871 Roma diventa Capitale d'Italia, e questo straordinario territorio ancora non vede approvata la sua Legge ordinaria che lo libererebbe dai 1000 legacci e laccioli costringendolo al ruolo di piccolo Comune essendo per grandezza il terzo territorio urbano europeo, 12 volte Milano e che, dal punto di vista economico muove un fatturato corrispondente a quello della metà dell'intera Regione Lazio. La Commissione già Amato e quindi Marzano dovrà ragionare su altre prospettive che coinvolgono eventuali riforme Costituzionali».

Le polemiche. «Alla cerimonia del 20 settembre a Porta Pia il rappresentante del Comune ha dimostrato con le sue parole che la giunta Alemanno non vuole tornare al ventennio fascista ma a molto prima, al potere temporale dei Papi». Lo afferma Roberto Giulioli, coordinatore romano di Sinistra Democratica. «Forse il modo in cui Alemanno vuole risolvere il problema istituzionale dei poteri di Roma e della sua area metropolitana - ha concluso - è quello del ritorno al Papa Re».

«La presa di Roma nel lontano 20 settembre del 1870 è un evento che va ricordato perché fondamentale della storia nazionale del paese. Purtroppo ci sono ancora alcune associazioni e partiti che ricordano tale evento per riaffermare il loro anticlericalismo e la loro avversione alla chiesa e al Papa». Lo dichiara Alessandro Vannini, presidente della Commissione Turismo e Moda del Comune di Roma.

Il movimento politico cattolico Militia Christi «si rallegra dell'avvenimento storico che si è verificato stamattina a Roma presso la breccia di Porta Pia» con la lettura da parte «del generale dei granatieri Antonino Torre,
che dinanzi ai bersaglieri, agli aderenti dell'Uaar e ai massoni, e subito dopo presente anche alla nostra commemorazione dei caduti pontifici, ha reso il saluto militare, il 'presentat'arm', ai caduti pontifici leggendone pubblicamente i nomi in un significativo storico gesto di riconoscenza ed onore!». L'Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti (Uaar) ha invece denunciato che «agli esponenti laici è stato impedito di prendere la parola, contravvenendo alla tradizione».

I rappresentanti dell'Uaar volevano «ricordare l'annessione di Roma allo Stato italiano. Ma, invece di parlare dei nostri soldati morti per l'unità del Paese, il rappresentante del Comune ha dedicato il suo intervento ai mercenari di Papa Pio IX. Così le celebrazioni del XX settembre di quest'anno si sono svolte all'insegna del revisionismo papalino, democratico e antiliberale, fino al completo oblio della storia del nostro paese».

Dai Radicali proposta di legge: 20 settembre sia festa nazionale

Dai Radicali proposta di legge: 20 settembre sia festa nazionale

Roma, 20 set. (Apcom) - Lo scopo era celebrare "davvero" il 20 settembre e denunciare l'oblio che su questa data si sta depositando: così, dopo la manifestazione ufficiale del Comune di Roma, a ricordare la presa di Porta Pia questo pomeriggio lungo Corso Italia, a Roma, c'erano, i Radicali, i rappresentanti dell'Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti, i deputati Radicali, ma eletti nelle file del Pd, Maria Antonietta Coscioni e Mauro Turco, insieme al deputato del Pdl Mario Pepe. Ed è proprio firmata insieme da Pepe e dalla Coscioni la proposta di legge depositata in Parlamento perchè il 20 Settembre torni ad essere una festa nazionale e non, come ha detto Pepe, "un logoro rito". "Insieme agli amici Radicali - ha spiegato il deputato forzista parlando a qualche decina di persone - vogliamo lavorare per recuperare il 20 settembre, quando iniziò un epoca di fede nella scienza, una fede che va risvegliata". Ha applaudito Pepe il discorso della Coscioni che con forza ha chiesto di dire no a chi fa del proibizionismo la propria bandiera e di dire no ad ogni forma di dogmatismo e pregiudizio, perchè bisogna difendersi da chi vuole legiferare in questo senso, così come è accaduto con la legge 40 sulla fecondazione assistita". Ha applaudito anche il discorso, fortemente anticlericale e di condanna verso il Vaticano e verso Ratzinger, di Maurizio Turco. Avrò un incontro con il presidente della commissione Affari Costituzionali - ha annunciato l'esponente del Pdl, che nella scorsa legislatura presentò una identica proposta insieme al deputato Grillini - perchè almeno la proposta di legge venga messa all'ordine del giorno. Poi - ha ammesso - ognuno voterà come crede. Nel nostro partito ci sono molti cattolici, e poi da noi ogni cosa che ha che fare con l'unità d'Italia incontra il freno della Lega, così come dall'altra parte la presenza dei cattolici crea altrettanti, e forse più, problemi". E che quello del 20 settembre sia una ricorrenza poco, o diversamente, sentita lo stanno a dimostrare anche le corone di alloro deposte ai piedi della lapide: a quelle di Comune e Provincia di Roma, e della Regione Lazio, si sono affiancate quella degli attivisti di Militia Christi, che oggi hanno ricordato "i giovani accorsi da tutto il mondo per difendere il Papa", e ben tre corone massoniche, con la fascia del Grand Oriente d'Italia. In mattinata poi, hanno denunciato i Radicali, durante "la celebrazione ufficiale sono stati ricordati solo i soldati papalini caduti durante gli scontri con i Bersaglieri, dando lettura dei loro nomi, e non di quelli dei bersaglieri caduti". "D'altro canto - ha ironizzato amaro Turco - perchè i morti di Salò sì e quelli del Papa no?"

Fonte: Apcom

Il “nostro” XX Settembre, giorno di festa

dal sito radicali.it
Il “nostro” XX Settembre, giorno di festa

di Mario Pepe, Maria Antonietta Farina Coscioni, Maurizio Turco

Nel corso della seduta di giovedì 18 settembre, a Montecitorio, si è anche parlato di 20 settembre, e di come sarebbe opportuno che venisse proclamato giorno di festa. Sono intervenuti Mario Pepe, anomalo parlamentare del PdL (è iscritto a tutto il “pacchetto” della galassia radicale) e i deputati radicali Maria Antonietta Farina Coscioni e Maurizio Turco. Dal resoconto stenografico della Camera riprendiamo i loro interventi.

Mario Pepe: “Chiedo di parlare”.

Presidente: “Ne ha facoltà”.

Mario Pepe: “Signor Presidente, intervengo in quest'Aula, desolatamente vuota, perché resti agli atti un invito, un appello che intendo rivolgerle. Fra due giorni ricorre l'anniversario della battaglia di Porta Pia, una data troppo spesso dimenticata, eppure una data importante, non soltanto per lo Stato italiano, ma soprattutto per la Chiesa cattolica. Dalla perdita del potere temporale la Chiesa cattolica trasse uno slancio verso una spiritualità più alta. Il 20 settembre per noi è soprattutto l'affermazione di un principio: la Chiesa può essere libera solo se lo Stato è libero, e lo Stato è libero quando non ha bisogno di utilizzare la forza per imporre una dottrina, lo Stato è libero quando usa la forza solo per difendere la libertà dei cittadini.
Signor Presidente, io e alcuni deputati il 20 settembre andremo a Porta Pia: andremo a Porta Pia per difendere la libertà della Chiesa, perché la Chiesa si batte per i suoi principi, ma lo faccia con le armi spirituali e morali. Andremo a Porta Pia per difendere la libertà dei sacerdoti, purché questi siano ministri di Dio e non amici del potere. Andremo a Porta Pia perché la Chiesa possa difendere la vita, ma non possiamo non dire che ci sono delle situazioni che offendono la vita: signor Presidente, ci sono 3.000 malati in coma vegetativo che subiscono la vita! Ci sono delle situazioni gravissime! Ci sono delle situazioni disperate, che aspettano da questo Parlamento neoguelfo una legge sul testamento di vita. Signor Presidente, il 20 settembre va al di là dei confini nazionali: oggi nel mondo stanno risorgendo Stati neodottrinali, e il Presidente Berlusconi a Parigi ha messo in allarme, perché questi Stati stanno minacciando la pace e la sicurezza; e contro il risorgere di tali Stati neodottrinali il 20 settembre recupera tutta la sua pregnante rilevanza.

Signor Presidente, le chiedo che la Camera dei deputati il 20 settembre possa essere presente con una delegazione ufficiale e porre una corona davanti alla breccia, perché attraverso quella breccia non passò solo lo Stato italiano e non passarono solo le bandiere, ma passarono le bandiere della civiltà e del progresso e quelle della fede nella scienza, una fede che è sopita e deve essere quindi risvegliata, soprattutto nei giovani di questa difficile e tormentata generazione”.

Presidente: “Grazie, onorevole Mario Pepe, la sua richiesta sarà rappresentata al Presidente della Camera”.

Maria Antonietta Farina Coscioni: “Chiedo di parlare”.

Presidente: “Ne ha facoltà”.

Maria Antonietta Farina Coscioni: “Signor Presidente, onorevoli colleghi, mi associo a quanto ha detto il collega Mario Pepe: oggi nel nostro Paese è più diffusa di quanto non si mostri di credere e non si pensi un'esigenza laica. Per «laica» intendo non solo l'esigenza di una voce che si differenzi dal coro delle tante altre voci che avversano il laicismo, lo ignorano o, al più, fingono di accettarlo, riducendolo a formula insignificante e vaga. Essere «laici» - ce lo hanno insegnato maestri come Benedetto Croce, Vittorio De Caprariis, Adolfo Omodeo, Guglielmo Pepe, Gaetano Salvemini, Ernesto Rossi, Mario Panunzio e Leopoldo Piccardi - non è solo una certa concezione dei rapporti che devono regolare le relazioni tra lo Stato e le Chiese; «laico» è una dottrina dello Stato e della politica, è una dottrina moderna della libertà; «laico» è la forza autonoma della libertà, intesa non come accumulazione di privilegi ma come libertà liberatrice.
Per noi liberali e socialisti riformatori - in una parola, radicali - il 20 settembre è una data particolarmente cara: il 20 settembre del 1870 segna la fine del potere temporale dei Papi, e poco dopo Roma finalmente diventa la capitale d'Italia e si corona il sogno risorgimentale che aveva animato Mazzini, Garibaldi, Cavour.
Concludo, signor Presidente e onorevoli colleghi, ribadendo il mio e il nostro impegno di radicali per la difesa della laicità, che passa oggi anche per la libertà di ricerca, per la quale si batté con tutte le sue forze Luca Coscioni: quella breccia di Porta Pia è il simbolo di una liberazione per tutti noi. Per questo auspico, e auspichiamo, che il 20 settembre sia proclamato giorno di festa, una festa non solo per i laici ma per gli autentici cristiani, per i musulmani, gli ebrei, i buddisti e il mondo della fede in altro che nel potere”.

Maurizio Turco: “Chiedo di parlare”.

Presidente: “Ne ha facoltà”.

Maurizio Turco: “Signor Presidente, intervengo per ringraziare i colleghi Farina Coscioni e Mario Pepe che ci hanno invitato il 20 settembre, alle ore 16, a manifestare a Porta Pia. Ognuno lo farà con le proprie convinzioni e con il proprio credo, e penso che il credo che alcuni di noi porteranno quel giorno sia il credo nello Stato di diritto, nella democrazia, nella libertà di pensiero, coscienza e religione. Libertà di pensiero, coscienza e religione che oggi è negata, in questo Paese, nel momento in cui una confessione religiosa viene trattata in modo diverso, e quindi discriminante, rispetto alle altre confessioni religiose.
Il 20 settembre 1870 era un giorno di festa per i laici, per gli anticlericali, per i cattolici liberali, ed era il giorno di festa per Alessandro Manzoni, che da malato compie un viaggio faticosissimo per recarsi da Milano a Roma e per votare, da senatore del Regno, per Roma capitale, lui, cattolico liberale, nonostante il divieto del Vaticano.
Vedremo il 20 settembre, sabato, quanta gente, quanti cattolici liberali di questo Parlamento saranno presenti a Porta Pia. Intanto, registriamo che nel corso dei decenni, dal 1929 in poi, il voto, sia in un regime non democratico sia nel regime democratico - o cosiddetto democratico - ha avuto una sua continuità.
È il voto del Concordato, della commistione tra fede e potere, della simonia che caratterizza oggi le gerarchie vaticane, di cui sono maestre, di un disvalore che hanno sempre predicato in quanto tale ma che oggi praticano ed è il loro connotato”.

sabato 20 settembre 2008

20 Settembre/ Domani Radicali e Papisti ai due lati di Porta Pia

20 Settembre/ Domani Radicali e Papisti ai due lati di Porta Pia
Commemorazioni della 'breccia', mentre istriani ricordano Italia
Roma, 19 set. (Apcom) - "La nostra stella, o Signori, ve lo dichiaro apertamente, è di fare che la città eterna, sulla quale 25 secoli hanno accumulato ogni genere di gloria, diventi la splendida capitale del Regno italico". Parola di Camillo Benso conte di Cavour, che così premise al Parlamento l'11 ottobre del 1860 ciò che sarebbe avvenuto circa 10 anni dopo, il 20 settembre del 1870, quando i Bersaglieri fecero breccia Porta Pia e posero fine al potere temporale dei papi. Domani ne ricorre il 138esimo anniversario: come tale, viene festeggiato sia dai vinti che dai vincitori, da coloro che vorrebbero uno Stato completamente avulso dalla religione quindi completamente laico e chi, invece, rimpiange il dominio, o almeno i 'valori' dello Stato Pontificio.

Da un lato, infatti, i Radicali danno appuntamento "ai laici come ai credenti, ai cattolici liberali come ai credenti in altro, agli agnostici come agli atei" e invitano tutti a riprendersi "una ricorrenza cancellata dal calendario ma rimasta scolpita nella matrice profonda dello Stato moderno italiano, affinché non si tratti di una mera lapide dimenticata". Dall'altro, invece, gli attivisti di Militia Christi ricorderanno, con una messa secondo l'antico rito romano e un picchetto di fronte alla Porta "i giovani accorsi da tutto il mondo per difendere il Papa, il Suo diritto, la Sua libertà, ben consapevoli del ruolo storico e sociale dello Stato Pontificio come diga alla decadenza d'Europa".

Entrambe le formazioni, orgogliosamente antitetiche, hanno scopi politici: i 'papisti' "in un continente orgogliosamente laicista, ribadiscono il rifiuto al trattato di Lisbona e ad un'Europa fittizia, forzatamente creata a tavolino da potenti lobbies anticristiane". Di segno opposto i valori dei Radicali, da sempre sostenitori dell'abolizione del Concordato e della netta separazione tra religione e amministrazione. Per questo, una pattuglia di deputati Radicali ha chiesto la partecipazione ufficiale del Parlamento alla commemorazione delle 16.

Ma il XX settembre è una data storica anche per degli altri italiani: a Trieste, infatti, l'Unione degli Istriani in Esilio ricorderà i 300 volontari giuliano dalmati che si immolarono nel corso del primo conflitto mondiale, disertando dalle file dell'esercito austroungarico per la redenzione di Trieste, Gorizia, Trento, Fiume, Zara con le isole dalmate e l'Istria tutta.

IL 20 SETTEBRE DEI RADICALI IN UN CONVENO: "LA PRESA DI PORTA PIA E STATO LAICO"


IL 20 SETTEBRE DEI RADICALI IN UN CONVENO: "LA PRESA DI PORTA PIA E STATO LAICO"
www.radioradicale.it

XX settembre festa dell'Italia unita e laica


XX settembre festa dell'Italia unita e laica. I Radicali di Sinistra festeggiano in 13 città italiane
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giovedì 18 settembre 2008

"Roma, 20 settembre 1870: data epocale del mondo contemporaneo? Eredità e attualità dello stato laico". Il convegno internazionale a Londra

"Roma, 20 settembre 1870: data epocale del mondo contemporaneo? Eredità e attualità dello stato laico". Il convegno internazionale a Londra

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Rileggiamo il venti settembre

L'Opinione, Edizione 191 del 12-09-2008

Rileggiamo il venti settembre
di Francesco Pullia

Il venti settembre non è una data qualsiasi e non può essere considerata una semplice ricorrenza. Segna, invece, un momento storico la cui portata travalica connotati nazionali e confinati ad una specifica contingenza per affermarsi come punto cruciale e di svolta non tanto, come ben si sa, nei rapporti tra Stato italiano e Chiesa cattolica quanto, invece, tra religiosità e religione. Contrariamente, infatti, a chi intende artatamente rimarcare e accentuare l’aspetto conflittuale, quasi di irrisolvibile dualismo, di insanabile opposizione cui alluderebbe la celebre breccia che pose fine ad undici secoli di dominio temporale da parte dei pontefici, riteniamo importante andare al di là delle interpretazioni scontate e valutare approfonditamente lo scenario completamente innovativo che da quella giornata così ricca di significati è venuto a configurarsi. Il venti settembre, in sostanza, va a nostro avviso riletto non come accezione di scarto, cesura, netta divisione e, quindi, scontro frontale tra laicismo e religione ma come un incentivo ad affrancare il sentimento religioso, e l’etica ad esso connessa, dalle grinfie di un deleterio assolutismo. Ecco perché in tempi come i nostri in cui torna ad aggirarsi il terribile, spaventoso, spettro del fondamentalismo, con il suo carico di foschi presagi e insanguinato presente, quella giornata va sottratta al passato e attualizzata come simbolo non tanto di tolleranza quanto di fecondo, costruttivo, ecumenismo dialogale, di ermeneutica scaturita dalla profondità dell’incontro e ascolto.

Sappiamo quanto sia difficile riuscire a veicolare questa posizione in un periodo in cui, purtroppo, prevale il parossismo intollerante, in cui l’intersecazione (che è ben altro della e dalla contaminazione) è diuturnamente minacciata dalla sopraffazione e dall’unilateralismo estremizzato. Proprio per questo è necessario avviare una seria riflessione, in modo da abbattere inutili muri e steccati. Va, in primo luogo, oltrepassato e finalmente risolto l’equivoco che vorrebbe il laicismo come irreligioso e antireligioso, così come, d’altra parte, deve essere superata l’insussistente concezione secondo cui la religiosità sarebbe completamente avulsa dalla sfera cosiddetta laica. Laicismo e religiosità diventano e sono sinomini non appena cessano di autorelegarsi entro gli stretti confini delle convinzioni apodittiche, irrefutabili e, quindi, del totalitarismo, vale a dire di un orizzonte esaustivo e onnicomprensivo, per destinarsi ad essere strumenti di orientamento relazionale e relativo. Cosa intendiamo dire? Semplicemente che laicismo e religiosità si negano e oppongono quando vicendevolmente mirano ad erodere e schiacciare la propria reciprocità mentre si fondono quando, partendo dagli interrogativi basilari, costitutivi della nostra finitudine, aprono sentieri, anche intentati, all’alterità. Di conseguenza, non può darsi divario tra laicismo e religiosità ma tra quest’ultima e religione codificata, istituzionalizzata, assolutizzata, privata cioè di quella tensione veritativa che è tipica del ricercare e, dunque, dell’anelito all’altro.

E’ implicito ed evidente che ciò vale anche nel caso in cui il laicismo pretenda di erigersi a religione, deprivando, per di più, il sacro, snaturandolo nell’enfasi secolaristica. Ciò che è mistero non può essere ridotto a mondano. E, allora, il venti settembre rappresenta la restituzione del sacro alla propria sacralità, la sua sottrazione alla mondanità, la riappropriazione, da parte di un sentire finalmente non più condizionato e sottoposto a coercizione confessionale, di quel totalmente altro (che nulla a che fare con il totalitarismo) di cui la nostra umana avventura è parte e partecipe. E’ religiosamente laico o, il che è uguale, laicamente religioso porre attenzione e conferire centralità, in un’accorta analisi, alla nascita, alla morte, alla dignità del vivere come a quella del trapassare, farlo senza preclusioni di sorta, esaltando, potenziando l’ascolto e, ancor di più, rendendo quest’ultimo parola, comprensione, compassione, compresenza. Se si dovesse efficacemente raffigurare ciò che il venti settembre, secondo quest’ottica propositiva, rappresenta dovremmo probabilmente pensare al tao, alla compenetrazione delle polarità dello yin e dello yang o anche alla scacchiera in cui il nero e il bianco non si escludono ma si amalgamano. In questo senso, il venti settembre va visto come un punto di svolta (e d’unione) in cui il sacro è riuscito ad evincersi dal proprio depauperamento temporale per tornare a muovere le coscienze. Per questo, la riflessione sulla data del venti settembre, che non per niente anticipa di un giorno l’equinozio autunnale, cioè l’istante in cui il sole viene a trovarsi esattamente sull’equatore, dovrebbe andare oltre gli angusti limiti nazionali e porsi come garanzia contro ogni insorgente integralismo, contro ogni fanatico estremismo.

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mercoledì 17 settembre 2008

Breccia di Porta Pia, complotti e fantasie

Corriere della Sera, Pagina 49, 6 aprile 2007
ANTEPRIMA Su «Mondo Contemporaneo» un saggio sulla pubblicistica a Roma dopo il 20 settembre
Breccia di Porta Pia, complotti e fantasie
Una leggenda nera dell' antisemitismo cattolico nell' 800

«I rivoluzionari sono gente senza testa, senza patria, senza affezioni domestiche: gli Ebrei non hanno patria, ed ancorché abitino tra i popoli, non trovano riposo, non hanno fermezza; e sopra l' onore dei congiunti sentono quello dell' oro. I rivoluzionari vorrebbero schiacciare l' Infame, cioè il Nazareno, e gli ebrei lo crocefissero. I rivoluzionari giurano di uccidere il proprio Padre, il proprio benefattore, quando sia lor comandato dalla Satanica setta, e gli ebrei congiurano contro il Papa, lo bestemmiano, calunniano, fin sulla porta del Vaticano». L' equivalenza tra liberali ed ebrei non era un fatto raro nella pubblicistica dell' Ottocento, ma un' analisi della stampa periodica a Roma all' indomani del 20 settembre 1870 ci mostra il nesso, stabilito ossessivamente dai giornali clericali, tra questione romana e questione giudaica. Per il partito clericale, come ci fa vedere anche il brano citato da La Frusta dell' 11 gennaio 1871, la Breccia di Porta Pia fu il frutto di una congiura giudaica. A questa conclusione si arriva dopo l' attenta lettura del saggio di Annalisa Di Fant, ricercatrice dell' Università di Trieste, «La polemica antiebraica nella stampa cattolica romana dopo la Breccia di Porta Pia», in uscita sul prossimo numero della rivista di storia Mondo contemporaneo (diretta da Giuseppe Conti, Luigi Goglia, Renato Moro, Mario Toscano ed edita da Franco Angeli). In seguito agli avvenimenti del 1870 si assistette nella nuova capitale a una vera esplosione di testate, passate dalle 60 del decennio precedente Porta Pia alle 317 del quinquennio successivo. Per quanto riguarda il giornalismo schierato in maniera intransigente a difesa di Pio IX, il Pontefice autorecluso nei sacri palazzi, l' autrice parla di una piramide al cui vertice stavano L' Osservatore Romano e La Civiltà Cattolica, al centro giornali politici legati al mondo dell' associazionismo quali Il Buon Senso e La Stella, e alla base dei fogli popolari come La Frusta, o l' umoristico Il Cassandrino, che alla voce «ebreo» di un Dizionario uscito nel 1874 scriveva: «Nei tempi barbari questa parola suonava Robivecchi, Mordivoi, oggi vale fratello e patriota. I crocifissori si danno la mano». E nel gennaio 1873 pubblicava una filastrocca in cui i «buzzurri», cioè i forestieri arrivati con lo Stato liberale, venivano equiparati ai «Giudei». Se i fogli popolari alimentavano sentimenti localistici che si accompagnavano al razzismo contro «il Zozzajone der Ghetto», la stampa delle classi dirigenti era più elegante, ma esprimeva un antisemitismo parimenti violento. I toni erano pesanti anche quando il linguaggio era metaforico. È il caso di un articolo della Civiltà Cattolica del 1° marzo 1872, che sin dal titolo istituiva un paragone tra «Il Golgota e il Vaticano»: anzi, per «qualità morali» i crocifissori di Pio IX sono «i medesimi quanto a turpitudine e perversità dell' anima che i crocifissori di Gesù». I liberali, per La Civiltà Cattolica altro non sono che «novelli giudei», esecutori dei decreti della «frammassoneria mondiale». Ma già dalla fine del 1872 sulla rivista dei gesuiti cominciano a comparire riferimenti diretti alla comunità ebraica romana, peraltro attaccata dallo stesso Pio IX in un discorso pronunciato alla vigilia di Natale: «Non conoscono Dio questi Ebrei che scrivono bestemmie». Il Papa si riferisce ai giornalisti liberali di origine ebraica, come Edoardo Arbib, fondatore del giornale La Libertà, o Giacomo Dina, direttore di un altro giornale inviso ai cattolici, L' Opinione. In particolare Arbib sulla stampa cattolica si attirava le peggiori ingiurie personali: «Il perfido giudeo della Libertà», «il pronipote di Abramo», «il servitore del Ghetto». Un luogo comune della polemica antiebraica era il comportamento ingrato del «popolo deicida»: trattati con «magnanimità» da Gregorio Magno, Alessandro II, Innocenzo III, Gregorio IX, Clemente V, Clemente VI, e soprattutto da Pio IX, dopo la Breccia furono tra i primi a esultare: «Tra i primi che, pettoruti, insultanti, ed alteri mossero incontro a chi coll' accento di libertà sulle labbra apprestava la prigionia del Pontefice». Rilevante, infine, nell' ondata di antisemitismo conseguente alla Breccia di Porta Pia e alla contestuale apertura dell' ultimo ghetto ebraico in Italia, la questione scolastica. Per la stampa ultracattolica era inconcepibile che le scuole pubbliche fossero frequentate anche da studenti e soprattutto da professori ebrei. Un pregiudizio che portava il pur cauto Osservatore Romano a commentare così le statistiche sulla popolazione scolastica dell' ex Collegio Romano: «Gli iscritti sommano a circa 500. Peraltro va notato che più di 250 sono pronipoti di Abramo, Isacco e Giacobbe; onde in caso di un plebiscito in quella scuola la legge ebraica la vincerà su quella cristiana. Questo pure sarebbe progresso».

Messina Dino


Se ritorna Porta Pia

Corriere della Sera, 20 settembre 2007

Una proposta per ripristinare la commemorazione. E dagli archivi emerge la riluttanza di Mussolini a sopprimerla
Se ritorna Porta Pia
Chi vuole tornare alla festa. 20 settembre: dibattito aperto sulla festa cancellata dal Duce

Tra le proposte di legge volte al ripristino di festività civili presentate a Montecitorio, si segnala quella dell' onorevole Paolo Cento. Egli intende far riconoscere come festivo «il giorno 20 settembre, anniversario della breccia di Porta Pia». In altri termini, tornare alla legge 401 del 1895, che dichiarava tale data solennità civile. Nell' illustrare la proposta, Cento ricorda che la festività era stata abolita «per volontà di Mussolini». È vero che il 20 settembre 1930 era stata l' ultima commemorazione ufficiale e che, con la legge 1726 del 27 dicembre successivo, 1' 11 febbraio, ricorrenza della Conciliazione, aveva sostituito quella data come solennità civile, ma, diversamente da quanto noto finora, la resistenza del Duce alle pressioni vaticane in quel senso era stata tutt' altro che debole. All' ambasciatore presso la Santa Sede De Vecchi - che aveva richiamato la sua attenzione sulla opportunità di abolire la festività a seguito dei Patti del Laterano firmati 1' 11 febbraio del ' 29 - Mussolini aveva replicato che non riteneva ancora possibile tale abolizione e che la festività «sarebbe caduta da sé, gradatamente», aggiungendo, in una lettera dal tono risoluto al nunzio apostolico, che il Concordato non menzionava quella celebrazione, che egli non intendeva modificare la legge sulle festività e che, comunque, «senza gli avvenimenti del 20 settembre 1870 non ci sarebbero stati quelli dell' 11 febbraio 1929». A suo avviso - come riconoscerà nel 1970 Paolo VI - il 20 settembre era «stato un bene per tutti e anche per la Chiesa», un evento che «evidentemente rientrava nei disegni della Provvidenza Divina». Il ricorso alla Provvidenza, alla quale, circa due anni dopo, Pio XI attribuirà il merito di avergli fatto incontrare il Duce, non servì a soddisfare il Pontefice, che incaricò la diplomazia di insistere, suggerendo anche a De Vecchi che, intanto, il governo esponesse il 20 settembre del ' 29, insieme alle altre bandiere, «anche quella pontificia... allo scopo di togliere alla festa qualsiasi carattere di ostilità». Mussolini, ricevendo il nunzio Borgongini Duca il pomeriggio del 19, ribadì che la festa sarebbe caduta da sé, e che riteneva impossibile in quel momento l' abolizione anche «data la reazione manifestatasi dopo i Patti Lateranensi»: si impegnava per l' anno successivo, purché il Vaticano non chiudesse, come in passato, il «mezzo portone di bronzo» e non sospendesse le udienze pontificie per protesta. Quanto all' esposizione del vessillo papale, escludeva Palazzo Venezia, trattandosi di «festa municipale», ma proponeva di esporlo in Campidoglio, all' ambasciata e in nunziatura. Pio XI accettò e, per la prima volta, la bandiera battuta a Porta Pia finì per festeggiare la propria sconfitta. Dino Grandi, nuovo ministro degli Esteri, trovò geniale la soluzione che, a suo avviso, smontava «le mene degli anticlericali, i quali si preparavano a inscenare dimostrazioni ostili». Sui muri di alcuni istituti religiosi in Roma erano stati affissi cartelli con la scritta: «Il Vaticano è un coltello nel cuore d' Italia». Un anno dopo, ricordando al segretario di Stato, Pacelli, di aver «più volte nel corrente 1930 trattato con S.E. il Capo del Governo per l' abolizione del 20 settembre», il nunzio riferì di un nuovo colloquio con il Duce (propiziato da Grandi) che si era però concluso con un ulteriore rinvio per motivi di «opportunità» e per i dubbi di Mussolini a procedere «per circolare», pur con l' impegno di «sgonfiare la festa», di portare la questione al prossimo Consiglio dei ministri e in Parlamento, dove egli l' avrebbe sostenuta. I1 nunzio ribadì la richiesta di abolizione prima del 20 settembre del ' 30, minacciando una «pubblica protesta» di Pio XI con il rischio che si riaprisse la... questione romana, almeno una volta l' anno, «nel punto più sostanziale del dissidio», e ricordando che il Papa aveva celebrato messe in suffragio del nipote defunto del Duce. Questi, dichiarando che «il ragazzo era proprio un santo» e assicurando che avrebbe riferito dell' «atto di degnazione del S. Padre» al fratello («il quale è più credente di me»), avrebbe soggiunto: «Io pure sono credente: altro che!, ma gli uomini mi hanno fatto cattivo...». Il nunzio si affrettò a confermare, assicurandolo che il Signore aiutava il Duce «visibilmente», altrimenti non avrebbe potuto «tenere uniti e al posto tanti uomini, quanti ne tiene Lei»: c' è da sperare che il buon Dio non fosse, poi, proprio d' accordo almeno sui metodi che venivano adoperati per tenere «uniti e al posto» gli italiani. Assicurando al nunzio che, con una circolare ai prefetti, avrebbe provveduto a «sgonfiare ancora di più quest' ultimo 20 settembre», il Duce preannunziò il riordinamento delle festività civili: il 28 ottobre dei fascisti avrebbe sostituito il 20 settembre dei liberali. Perplesso, Borgongini, scusandosi per la propria ignoranza in materia, domandò che data fosse mai «questo 28 ottobre». Una guardataccia fu l' eloquente risposta di Mussolini, che, alle insistenze sulla festa della Conciliazione, replicò che il Papa non poteva chiedergli di cambiare il nome alle strade intitolate al 20 settembre in tutti i comuni italiani e di eliminare dai libri di scuola la storia di quell' evento. La conclusione è nota: al Consiglio dei ministri del 15 ottobre 1930 il Duce presenterà il disegno di legge per il riordino delle festività e il 27 dicembre la Conciliazione entrerà tra le solennità civili al posto della presa di Roma. Ci erano voluti comunque due anni per fare sparire formalmente il ricordo di Porta Pia. * * * La ricorrenza Il 20 settembre 1870 i bersaglieri entrarono a Roma dalla breccia di Porta Pia, ponendo fine al potere temporale della Chiesa e completando l' unità d' Italia Sull' argomento è appena uscito il libro di Antonio Di Pierro «L' ultimo giorno del papa re» (Mondadori, pp. 326, 18.50)

Margiotta Broglio Francesco

«Data provvidenziale» «No, giorno infausto»

Corriere della Sera, Pagina 47, 20 settembre 2007
LA DISCUSSIONE
«Data provvidenziale» «No, giorno infausto»

Oggi Valerio Zanone, presidente della Fondazione Einaudi di Roma, porta una corona di fiori a Porta Pia. E l' idea di ripristinare la festa del 20 settembre lo trova d' accordo: «È giusto che torni nel calendario delle date ufficiali, poiché rappresenta la laicità dello Stato e l' unità nazionale: due valori da riaffermare in una fase in cui le Camere non riescono ad approvare leggi sui diritti civili e il Risorgimento è oltraggiato da leghisti e neoborbonici. I primi ad essere favorevoli dovrebbero essere i cattolici, perché la caduta del potere temporale contribuì a restituire alla Chiesa il ruolo che le è proprio». Sul versante opposto si colloca Roberto de Mattei, biografo e grande estimatore di Pio IX: «Non considero il 20 settembre una data fausta né per la Chiesa né per l' Italia: nel 1870 mi sarei schierato con i difensori della Roma pontificia. È vero che la Conciliazione poi sanò la ferita, ma non per questo la ferita merita di essere celebrata. Aggiungo che non voglio mettere in discussione l' unità dell' Italia, la cui sovranità va anzi difesa dalle crescenti intromissioni europee». Un altro storico credente, Francesco Traniello, che sta per far uscire dal Mulino il volume Religione cattolica e Stato nazionale, sostiene invece che «il 20 settembre liberò la Chiesa da un fardello, poiché in quella forma il potere temporale era storicamente superato. Inoltre è una data fondativa dello Stato italiano, su cui è sempre utile riflettere. Non credo però - prosegue - che sia opportuno tornare a festeggiare la presa di Porta Pia. Sarebbe un atto simbolico che potrebbe determinare un inopportuno inasprimento delle tensioni tra laici e cattolici». Anche Giovanni Miccoli, storico di sinistra del quale Rizzoli ha appena pubblicato il libro In difesa della fede, si mostra perplesso rispetto al ripristino della festività, ma per altri motivi: «Oggi in Italia c' è un grave problema di laicità dello Stato, cui non si può certo rimediare con simili iniziative. Ma il giudizio storico positivo sul 20 settembre non si discute: anche Paolo VI definì provvidenziale la fine del potere temporale dei papi».

Carioti Antonio