martedì 13 maggio 2008

Quando la milizia del Papa si arrese all’Italia

L’Unità 20.9.07
Quando la milizia del Papa si arrese all’Italia
di Antonio Di Pierro

UN LIBRO di Antonio Di Pierro dedicato alla breccia di Porta Pia a Roma, racconta il 20 settembre 1870, l’Ultimo giorno del Papa re. Del libro pubblichiamo il capitolo sulla presa del Campidoglio

Sono sempre più stanche e nervosi, demoralizzati perché consapevoli di essere rimasti da soli a difendere l’ultimo baluardo delle istituzioni romane: ma nonostante tutto i pochi soldati pontifici che presidiano il Campidoglio continuano a fare il loro dovere. Hanno già dovuto respingere gli assalti di civili armati. E adesso sono ancora lì, distribuiti a semicerchio sul colle capitolino, gli occhi che scrutano tutt’intorno per poter avvistare ogni minimo movimento sospetto, i fucili puntati verso Botteghe Oscure, San Marco, piazza Venezia, il Foro di Traiano come se si aspettassero da un momento all’altro nuovi attacchi. Non è un timore infondato. Stavolta il nuovo pericolo si preannuncia con un suono cupo, appena percettibile, come l’eco di tuoni lontanissimi accompagnato da un improvviso tremolio del terreno che sembra un’avvisaglia di terremoto. I miliziani del papa si guardano l’un l’altro stupefatti: davanti a loro non si vede anima viva, deserta tutta l’area sotto il loro controllo. Ma questo non li tranquillizza affatto. Anzi, l’inquietudine dei soldati è al massimo anche perché quel rumore che sembra un rombo di tuoni si fa sempre più vicino, quelle vibrazioni che paiono scosse telluriche si fanno sempre più intense. E ancora non si comprende da dove provenga quel suono, che adesso giunge meno ovattato e tendendo le orecchie pare di distinguere voci, cori, urla, squilli di tromba mentre il terreno è scosso da decine, centinaia, migliaia di piedi come se tutti i romani si fossero concentrati lì sotto e ora avanzassero a passo di marcia oppure saltassero dalla gioia.
Poi, all’improvviso, i fanti pontifici cominciano a intravedere qualcosa: è un luccichio di baionette. Sì, da via del Gesù ecco avanzare verso il Campidoglio il 2° Battaglione del 39° Reggimento fanteria comandato dal maggiore Giorgio Tharena. Avanti a tutti procede a passo marziale il sottotenente Gaetano Lugli con la bandiera del reggimento, scortata dall’aiutante maggiore Riccardo Fantanive. Dietro, i soldati che hanno avuto un ruolo determinante nell’attacco di Porta Pia, fucili in spalla, marciano impettiti, orgogliosi di avere avuto il compito di occupare un luogo-simbolo della millenaria storia della città eterna. Ma, più ancora, i fanti del re d’Italia sono raggianti per la grandiosa festa popolare che sta accompagnando la loro avanzata. I civili che avevano tentato l’assalto al Campidoglio ed erano stati respinti dal fuoco pontificio, adesso si sono fatti coraggio e hanno ripreso a farsi sotto le pendici del colle capitolino. E un fiume di cittadini ha cominciato a seguire, a circondare, a precedere, a inneggiare con acclamazioni e battimani il 2° Battaglione che ora è quasi avvolto e sospinto dalla folla. Ma non solo. Dal Foro di Traiano, da via del Corso, dalle Botteghe Oscure, dal teatro di Marcello, tutte le strade che portano al sacro colle sono un brulicare di romani che avanzano sgomitando verso il medesimo obiettivo. Ecco che cos’era quel rumore che pareva un tuono sotterraneo e adesso ha le caratteristiche di un boato che avvolge tutti.
I soldati del papa sono frastornati, sembra che l’intera Roma si sia data convegno lì davanti e i convenuti non sembrano nutrire sentimenti di amicizia nei loro confronti. Sparare sulla folla? Sarebbe una pazzia suicida, in presenza di un intero battaglione dell’esercito italiano che sta avanzando. Molto saggiamente, i comandanti della milizia pontificia ordinano ai loro uomini di non fare uso delle armi e li fanno concentrare davanti al palazzo dei Conservatori, in attesa degli eventi. Pochi minuti dopo, nel tripudio popolare, i fanti del 2° Battaglione cominciano a salire gli scalini della gradinata michelangiolesca e giungono finalmente sulla piazza del Campidoglio. È il maggiore Tharena il primo a farsi avanti verso il drappello papalino per chiedere ai loro comandanti, i capitani Corrado Sussmeyer e Luigi Betti, di arrendersi e di considerarsi tutti prigionieri. Non ci sono alternative. Condotti nel cortile del palazzo dei Conservatori si procede in breve al disarmo dei militari pontifici.
Il Campidoglio è liberato. Il Campidoglio è in festa. Qualcuno sale sulla Torre capitolina e inalbera una bandiera tricolore fissandola nella mano della statua di Roma. La bandiera del 39° Reggimento fanteria, quella stessa che poche ora fa dalla torretta in villa Patrizi ha dato il segnale dell’assalto alla breccia e che è stata sfregiata da dieci palle di fucile, viene appoggiata a un braccio della statua equestre di Marco Aurelio al centro della piazza. Le campane suonano a festa. La banda militare intona la marcia reale. Sono momenti di intensa commozione, mentre dalla folla si levano grida inneggianti all’Italia unita, a Roma italiana, all’esercito. Dice Angelo Giosuè Lucotti: «È una scena che strappa il cuore. Ho visto Edmondo De Amicis non riuscire a trattenersi, gettarsi su uno scalino e piangere dirottamente».
«Bisogna averla sentita suonare la marcia reale per la prima volta in Campidoglio, davanti a quella bandiera gloriosamente forata» conferma pochi minuti più tardi Ugo Pesci; «bisogna aver veduto i popolani di Roma, corsi lassù con le armi portate via ai papalini, brandirle in alto entusiasti; e le donne, i ragazzi, i vecchi, sventolare i fazzoletti, gridare, piangere, abbracciare i soldati immobili in rango al presentat’arm, per poter dire d’aver provato davvero una forte commozione patriottica!».
Più a nord, intanto, le colonne italiane sono giunte davanti a ponte Sant’Angelo, la «porta» del Vaticano. Hanno l’ordine di non oltrepassare quel confine simbolico ma di presidiarlo sì, e di consentire il passaggio delle disarmate truppe pontificie che hanno ricevuto l’ordine di confluire e di concentrarsi in piazza San Pietro.

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