martedì 1 gennaio 2008

Quando a Roma comandava il Papa re

Quando a Roma comandava il Papa re
Massimo Scioscioli con Antonio Carioti

Il convegno dei radicali non è stato l'unica manifestazione laica in occasione del 20 settembre. In Campidoglio l'Associazione mazziniana di Roma, il centro studi Bertrand Russell e il circolo Giustizia e Libertà hanno organizzato un incontro, alquanto affollato, per rispondere alle accuse di parte cattolico-integralista contro i protagonisti dell'unità d'Italia. Titolo: "Una provocazione inaccettabile: il Risorgimento da riscrivere".

Sullo stesso tema abbiamo ascoltato uno degli organizzatori del dibattito: il professor Massimo Scioscioli, studioso del pensiero di Mazzini e autore della biografia di Goffredo Mameli "Virtù e poesia", edita da Franco Angeli.

Sul "Corriere della Sera" il cattolico Vittorio Messori ha dipinto la breccia di Porta Pia come un atto di aggressione contro un governo legittimo. Dimentica però che il potere temporale dei papi era stato dichiarato decaduto oltre vent'anni prima, nel 1849, dall'Assemblea Costituente della Repubblica romana.

Proprio così. Si trattava del primo Parlamento eletto in Italia a suffragio universale, nei territori dello Stato pontificio, che depose Pio IX dal trono e proclamò la Repubblica, poi caduta sotto i colpi delle truppe francesi e austriache. Gli storici cattolici seri ammettono che quelle elezioni si svolsero con grande regolarità e l'affluenza alle urne, tenuto conto dei tempi, fu piuttosto elevata, benché il Papa aveva lanciato la scomunica contro chiunque partecipasse alle operazioni necessarie per riunire la Costituente, elettori compresi.


Un altro dato da ricordare è che le condizioni dello Stato pontificio, per quanto riguarda le libertà civili e il tenore di vita dei sudditi, erano davvero pessime.

Anche in questo caso mi rifaccio a quanto scrive uno studioso cattolico di grande autorevolezza, padre Giacomo Martina, la cui biografia di Pio IX è uscita con l'imprimatur del vicariato di Roma. Nella prima metà del XIX secolo, su due milioni e mezzo di abitanti dello Stato pontificio, ben 400 mila erano censiti come vagabondi, prostitute, mendicanti e categorie analoghe. Il 40 per cento della proprietà fondiaria era nelle mani di enti religiosi. Nelle carceri languivano oltre 30 mila detenuti, una cifra enorme rispetto ai 50 mila reclusi dell'Italia di oggi, che ha circa 57 milioni di abitanti. Tutti gli impieghi statali di un qualche prestigio erano riservati al clero, l'ordine pubblico era affidato a milizie private capaci di ogni soperchieria.

Era una situazione che danneggiava anche il prestigio della religione cattolica, come si evince dagli amari sonetti del poeta Giuseppe Gioachino Belli, che certo non era un pericoloso rivoluzionario. Di fronte a tanto sfacelo sociale, economico e morale, le potenze europee avevano chiesto ufficialmente l'adozione di qualche riforma. Ma Gregorio XVI, predecessore di Pio IX, aveva rifiutato di dar loro ascolto.

Invece Mastai Ferretti apparve all'inizio come un Pontefice riformatore.

Si rese conto che c'era bisogno di cambiare qualcosa per riavvicinare i sudditi alla figura del Papa. Ma promosse soltanto cambiamenti di carattere amministrativo, eludendo il problema centrale, cioè se le istituzioni dovessero essere rappresentative della volontà popolare. In realtà era convinto che i principi democratici fossero incompatibili con il potere temporale della Chiesa, necessariamente teocratico.

Infatti quando il popolo insorse, invocando la libertà, Pio IX fece appello alle armi straniere, che dal 1849 in poi divennero il principale sostegno del suo trono.

L'esercito pontificio passò in blocco al servizio della Repubblica e diede una buona prova nella resistenza contro austriaci e francesi. Da allora Pio IX dovette affidarsi a milizie mercenarie e alle truppe inviate dal governo di Parigi. Va ricordato che il presidente francese Luigi Bonaparte, il futuro Napoleone III, nel 1849 invitò il Papa a introdurre riforme incisive, ma il Pontefice fu irremovibile e pretese la piena restaurazione dell'assolutismo. Così il timido Statuto del 1848 venne revocato e gli ebrei romani furono nuovamente chiusi nel ghetto.

Insomma, la rottura fra laici e cattolici, nel Risorgimento, fu provocata soprattutto dall'intransigenza del Papa.

Al contrario di quanto sostengono Messori e i vari ideologi di Comunione e Liberazione, i patrioti non cercavano affatto lo scontro con la Chiesa. Nel 1848, in Francia come in Italia, i credenti furono molti attivi nella rivoluzione democratica. Al Risorgimento diedero un contributo essenziale pensatori cristiani come Antonio Rosmini e Vincenzo Gioberti. E non dimentichiamo un grande cattolico liberale come Alessandro Manzoni, che fu senatore del regno. Dopo la breccia di Porta Pia, i governanti italiani cercarono di venire a patti con il Papa. Ma Pio IX rigettò ogni mediazione, sperando probabilmente che un intervento militare straniero gli potesse restituire il potere temporale. Questa volta però rimase deluso.

Tuttavia il conflitto fra Stato e Chiesa assunse caratteri molto aspri, tanto che alcuni vescovi vennero perfino arrestati.

Sì, ma furono episodi piuttosto sporadici. Bisogna tener conto che per costruire lo Stato moderno era indispensabile limitare l'influenza del clero, come del resto si era già fatto in tutta Europa. Non era accettabile che l'anagrafe, l'istruzione, il matrimonio rimanessero nelle mani esclusive della Chiesa, con pesanti discriminazioni per le minoranze religiose, oppure che fosse impossibile citare in giudizio monaci e sacerdoti, se non davanti al foro ecclesiastico. Quando poi alcuni esponenti del clero, abusando della propria autorità spirituale, presero ad attaccare violentemente le leggi dello Stato, era impensabile che non ci fosse una ferma reazione da parte del governo.

Così la conciliazione avvenne con grande ritardo, nel 1929, e sotto il segno dittatoriale del fascismo.

Anche questo la dice lunga. Nel periodo dello Stato liberale il Papa non subì alcun ostacolo al compimento della propria missione spirituale e i suoi fedeli godettero della piena libertà d'associazione, tanto che l'Opera dei Congressi, la maggiore organizzazione cattolica intransigente, prosperava senza problemi. E poi nacque il Partito popolare, predecessore della Democrazia cristiana. Ma il Vaticano preferì sacrificare i cattolici democratici sull'altare dell'accordo con un despota miscredente come Mussolini.

Venendo ai giorni nostri, come giudicare la beatificazione di Pio IX?

Mi sembra uno squillo di tromba per chiamare a raccolta il cattolicesimo integralista, probabilmente anche per questioni interne alla Chiesa. Di certo è una dichiarazione di guerra alla modernità: così come Pio IX, nel "Sillabo", condannò l'intera civiltà liberale, oggi il Vaticano è impegnato in un'aspra offensiva contro la libertà della ricerca scientifica. Infine esaltare l'ultimo Papa re significa attaccare lo Stato nazionale, magari nel nome di un confuso "federalismo" che tende a sfociare nel secessionismo. Temo che la cultura del cattolicesimo democratico europeo, quello di De Gasperi e Konrad Adenauer, stia finendo nel dimenticatoio. E la cosa mi preoccupa molto.

Non è scorretto però leggere una beatificazione in chiave prevalentemente politica? Giulio Andreotti obietta che Pio IX è stato canonizzato per la sua statura spirituale, non per le sue scelte di sovrano.

Ovviamente non ho la minima idea di quale rapporto avesse Pio IX con la dimensione divina. Dalle fonti cattoliche, a dire il vero, non risulta che fosse proprio la santità impersonificata. Non so quali informazioni abbia in proposito il senatore Andreotti: certo nel suo libro su Papa Mastai Ferretti ci sono brani che destano grandi perplessità.

Quali esattamente?

Faccio un solo esempio. Andreotti scrive che Pio IX era in buoni rapporti con Rosmini, tanto che voleva farlo cardinale. Leggendo questa affermazione, sono rimasto francamente allibito. Pare in effetti che a Roma, nel novembre 1848, il Pontefice avesse solennemente promesso la berretta cardinalizia a Rosmini. Ma poi il Papa fuggì a Gaeta, di fronte ai moti popolari, e dopo qualche giorno la berretta cardinalizia finì sulla testa del laico Giacomo Antonelli, uomo di spiritualità piuttosto opinabile. Più tardi Pio IX condannò e mise all'indice le opere del povero Rosmini, che ne fu molto addolorato e quasi ne morì di crepacuore. Com'è possibile sorvolare su tutto ciò, come fa disinvoltamente Andreotti?




dal sito: http://www.caffeeuropa.it/attualita/101attualita-scioscioli.html

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